A piedi nudi sull’aiuola di Piazza Demidoff con 12 biodinamici

Location d’effetto, senza dubbio, pur con qualche rumoroso bus nel traffico dei lungarni di troppo. Ma vuoi mettere la differenza tra Piazza Demidoff e una asettica stanzetta al chiuso? Eppoi stiamo parlando di biodinamica, di ritorno al rapporto sano uomo-natura e vigneto, quindi oggi quasi quasi davvero volevo stare a piedi nudi sull’erbetta. Attorno in questa particolare situazione un bel gruppetto di persone curiose e appassionate. Presenti alcuni produttori in platea e molto curiosi i produttori dei vini nel vedere i loro prodotti in un contesto così. Sì ma come erano i vini?Prima Batteria: Bianchi

Credo fosse la mia prima volta che assaggiavo una Passerina e diciamo che la cosa che più colpisce è la sensazione di fragranza e dolcezza dell’insieme, ovvero un vino floreale di campo ma anche fruttato fresco in cui non distingui i singoli profimi. Però se chiudi gli occhi sei su quel campo e ti stai riposando all’ombra di un pino mangiando una mela gialla.  [85]

Uno dei vini più particolari con note di timo, salvia, erbe aromatiche, fiori d’arancio, thè al bergamotto  che paiono togliere la scena al frutto. Bocca in chiave ossidativa ma non esagerata, bella sapidità di contorno che contrasta un finale molto sapido e croccante di frutta bianca e gialla. Trebbiano 90 % e Malvasia 10% [86]

LA sorpresa della degustazione, siamo talmente abituati agli Chardonnay più banali che ci siamo scordati che questo viitgno legge il terroir come pochi altri e qui lo dimostra con un naso floreale coe può essere un sakè, un fieno appena accennato, una ginestra, un’albicocca, della nocciola leggera e lieve affumicato. Bocca integra e quasi in equilibrio, un vino che si allarga ad ogni sorso, sul serio. [90]

Da Bellotti, adepto della prima ora di Joly, un Gavi che riconcilia con il Gavi nella sua versione migliore e quindi erbe di campo, fiori bianchi e pesca dolcissima. Bocca minerale e di camomilla. Finale persistente, molto, con sapidità che riemerge ogni dove. Forse solo debole in acidità, ma godibilissimo [82]

Batteria 2: Rossi fuori Toscana

Sconosciuto ai più ed è un peccato grande quando il Cesanese si esprime così, come un piccolo Montepulciano d’Abruzzo con una scorta di visciole al naso croccantissime, poi spezie (pepe nero) tabacco da sigaro toscano. Bocca piena e decisa ma con un quasi-equilibrio molto interessante.

Un crogiuolo di vitigni (barbera, croatina, coratella…) per un vino di tettori esemplare. E ci regala il frutto di fragole e lampone dell’Oltrepò, una piacevolezza di beva straordinaria, affatto dolce, mediamente persistente, finale di frutta rossa di bosco in confettura arricchita da spezie curiose.

La Barbera come dovrebbe essere: naso dolce senza stuccare, ciliegia e lamponi in confettura, fiori rossi e blu. Beva superba, finale di mirto  e di ciliegia che invitano a mangiare e poi riservirsi subito di vino…

Ad Alessandria il Dolcetto ha le posizioni migliori rispetto al nebbiolo e questo clone Niblò in effetti esprime un naso ricco di rose, china, humus appena accennato. Floreale ricco per una bocca che sa quasi di nebbiolo, sferzante ma accomodante con un vino che ha molto più spessore di quanto sembri..

Batteria III, Sangiovese!

Ottima sintesi di austerità ilcinese e macchia mediterranea di maremma. Macchia il palato con una intensità interessante di ciliegia mista a liquiriza, tabacco, resina, mirto. Tannini vivaci ma entusiasmanti.

Già lo conoscevamo ma ogni volta fa qualche passo avanti nella definizione del suo stile fatto d corteccia di albero, sottobosco umido, thè. Un modo di concentrare il Montalbano in un bicchiere, una zona famosa per vini “da tavola” ma rilanciata da  questo super-biodinamico che acquista ogni anno più sfumature.

Dalla Toscana si guarda sempre con malcelata superiorità ai sangiovese di Romagna per certe derive moderniste che coprono l’espressione del terroir. Qui invece non ci sono le esagerazioni caricaturali di tempo fa, qui è tutto eleganza e souplesse, note di fragola e lampone, poi pepe, spezia e frutta,   quadro completo per un terrori che anche nei vini esprime levità e voglia di vivere. E un vino così non poteva che venire dalla terra promessa del divertimento in Italia.

Degna chiusura della giornata un vino che ha reagito all’annata dfficile e calda 2003 con frutta molto nitida e mai sfuocata, fiori secchi, viola, poi cuoio e pellame nobile, sapidità piena e rispondente. Pian dell’Orino insieme a Podere Salicutti e Stella di Campalto sono fuori della DOCG , a ribadire che non si possono imbrigliare i profumi e la magia del sangiovese a Montalcino se con i viti biodimaici. E in effetti il vino continua ad evolversi in tutti i bicchieri in maniera sempre nuova fino al sentore di ferro e e di canfora, con sottofondo pepato che anche in bocca ha il suo perchè. Grande prova di vino di terroir e di adattamento (umano) alla vigna e alle sue condiziooni.

Tantissime sensazioni e note vibranti, vini che hanno un equlibrio che non sembra già possibile. E invece è proprio la magia del Terroir, della vecchia vigna, del lavoro in cantina: sono vini olistici questi, vini che coccolano senza stuccare e che a qualsiasi temperatura di servizio, sembrano prodotti davvero “della natura e del lavoro dell’uomo”.

E quando si bevono, pure in Piazza DEmidoff in mezzo al resto del mondo che scorre, pare davvero,per lo spazio  di una bottiglia, far pace con la natura e il creato sentendosi nel mezzo ” tra cielo e terra”…