Symbola : Come si comunica l’ambiente e l’ecologia attraverso la bottiglia, siamo davvero sicuri che l’acino voglia diventare vino?

Preambolo di quel grande evento internazionale che è il seminario estivo Symbola sulla Green Economy, ecco una riunione quasi carbonara (nella sala della contrada di Gracciano a Montepulciano) per discutere di comunicazione del vino “green” e delle sue infinite connotazioni dal biologico al naturale passando per la biodinamica e il “sostenibile”. Tutti termini che afferiscono ad un sentire comune di avere prodotti più legati alla natura e all’ambiente, rispettosi dell’uomo e della vigna. Già ma quale il modo per presentarsi chiari, allineati e convincenti nei confronti dei consumatori?Presenti attorno alla tavola vari personaggi, in effetti tutti attori rappresentativi della filiera: Adriano Zago (Agronomo), Alessandro Maurilli (Giornalista, Addetto Stampa), Angiolino Maule (Produttore, VinNatur), Antonio Ferro (Esperto di Comunicazione Ambientale),  Giacomo Mastretta (Agronomo), Gianluca Mazzella (Giornalista, Critico Vinicolo), Giulia Graglia (Regista, Scrittrice), Laura Bernini (Agronomo), Michele Crivellaro (Esperto di Certificazioni Ambientali – CSQA), Paolo Vagaggini (Enologo, Biologo), Pietro Bonato (Direttore CSQA), Roberta Perna (Giornalista, PR) e ovviamente lo scrivente in qualità di ristoratore-sommelier e giornalista.

Parte Domenico Andreis ,  coordinatore del progetto Salcheto Carbon free  (remember?)
Symbola ha scelto la cornice di montepulciano e il vino ma ovviamente si occupa di tutto ciò che può essere gremì non solo vino… Tutto partì da  Michele Manelli che si chiese cosa poteva fare come produttore a parte cercare la qualità in maniera ossessiva e l’attenzione all’ecologia era la risposta . C’è però bisogno di dati intelligibili dal consumatore medio e sintetizzati bene che lo possano spingere verso scelte più consapevoli.
Ambiente ha già influenzato molte industrie come i viaggi (5 euro in più sui biglietti aerei per essere carbon ree) e allora perché non il vino? Già partito a Siena un progetto ispirato a Kyoto applicato su provincia di siena in genere, riduzione delle emissioni fino ad arrivare a carbon neutral entro il 2015. Da noi molte categorie colpite e che si sono messe a lavorare ma il nostro paese è ancora lontano qsa come 100milioni di tonnellate, ovvero circa 1mld di dollari di certificati ambientali che dovranno essere acquistati. La strada delle piccole aziende è da battere senz’altro e serve ad integrare i comportamenti dei singoli, unica strada per non comprare quote all’estero. Quindi progetti politici o imprenditoriali sono importantissimi oggi. Così allora nel vino si sono identificati vari step di CO2 e di energia confrontandoli passo dopo passo e vedendo dove c’erano margini di miglioramento e abbattimento consumi avendo come riferimento il progetto più ampio provinciale senese.
Se tutte le aziende di vino italiano lo facessero saremmo quasi a metà del fabbisogno di certificati CO2. Già una vigna assorbe parecchia Co2  e da subito la parte interna alla cantina può andare “neutral” quasi subito. Siti produttivi offgrid sono possibili anche se per ora costosi come quello di Salcheto ma tanti piccoli accorgimenti sono alla portata di tanti. Almeno il 20% di CO2 in meno è alla portata di tutti per 6-7mld di bottiglie dà contributo significativo…
Ambiente è paletto del business model di tante aziende nuove che oggi lanciano prodotti in altri ambiti, in campo agricolo dovrebbe essere più facile da capire e catturare attenzione.

Michele Manelli (proprietario Salcheto)
Carbon footprint si può far misurare guardando consumo energetico totale della mia attività in termini di consumo fossile poi però devo calcolare consumi indiretti per esempio il costo del trasporto delle bottiglie vuote alla mia cantina.
Lavoro fase 1 ha creato modello di analisi che permetta di applicare la 14064 ISO al vino che per ora non esiste un modello. Adesso invece si può dire che esiste dalla coltivazione alla bottiglia. unico aspetto debole è che la dinamica della gestione del vigneto ovvero bilancio del sistema vigneto indipendentemente dall’uomo che va ancora approfondito. Tolto questo (ma vigneto bio dovrebbe essere in equilibrio di suo con ambiente!) il modello comincia ad essere ben definito e ci sono linee guida che molti produttori possono già applicare in vista di norma che obblighi tutti a rispettare.
In finale sulla bottiglia ci può finire un numero che indica impatto in termini di gas climalteranti e consumi specifici in termini energetici.
Si parla di “approccio alla sostenibilità che diventa caleidoscopio”, di per sè sostenibilità ambientale ha tanti punti di vista, è sistema complesso e sfaccettato con molti limiti, tante falsità e confusione lessicale e semantica. Siamo forse all’apice della confusione comunicativa e sarebbe il caso di capire rischi e opportunità che si creano nel parlare di questo al pubblico.
Come si fa scattare scintilla etica nel consumatore?

Gianluca Mazzella
Mi ci sono avvicinato più da consumatore, e poi come autore e scrittore. Di sicuro nel consumatore grande confusione ad esempio orange wine non è per forza di cose naturale o biodinamico o biologico! C’è bisogno da parte dei comunicatori di usare termini come vino naturale (ovvero vino senza imperfezioni e deriva da diritto ecclesiastico, o almeno è il primo ambito dove è stato definito).
Oggi si prova a definire vino a impatto basso sull’ambiente  e già questo è difficile al di là del fatto che se ho molto lavoro enologico ho più impatto ambientale. Se poi ci mettiamo dentro vino di qualità e correlarlo a vino biologico o contrapporlo la confusione aumenta a dismisura. Tematica ambientale è comunque in effetti fortissima e la prima cosa sarebbe usare parametri, almeno definire le pratiche ammissibili per fare vino di qualità. OGM è naturale o no?  Oppure dire “vini veri”? ci sono vini falsi allora? certo ci sono prefabbricati, insapori e inodori ma non per questo falsi. Si fa fine della legislazione tedesca.

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Adriano Zago agronomo biodinamico:
Consideriamo il profilo di sostenibilità ambientale di un vino biodinamico.  E’ difficile far partorire un animale in gabbia…c’è incompatibilità tra classificazione di qualche tipo e qualcosa di vivo animale o vegetale come è un vino biodinamico. Sostenibile è riduttivo quando si parla di biodinamica in quanto è un concetto che non si applica ad organismo vivente. Parlando poi di CO2 c’è pericolo perché tutti i fitofarmaci sono compensabili piantando alberi… E’ indicatore sintetico di processo vitale la CO2 e biodinamica però la sintesi viene rifiutata perché si ragione di un sistema complesso come la vita.

Angiolino Maule, VinNatur
Biologico, biodinamico e passato ad altro, biodinamico è solo un punto di partenza. Noi siam partiti da vini arancioni ma non solo come mossa commerciale come tanti. Di sicuro combattuta la chimica e rifiutata ed è stata messa da parte. Poi con Vini Veri e poi Vin Natur prima da “dittatore” per tirar su consiglieri con visione comune mentre dentro vini veri non era più possibile. Vin Natur fa ricerca, monitoraggio del suolo, cerca di limitare danni di certa letteratura e scienza (vedi Fregoni e suo libro su concimazione vite). Sovesci invernali, rivitalizzazione suolo come primo elemento, ora nemici sono rame e zolfo.  Zolfo uccide acari, 80% dei ceppi di lieviti e 99,9% dello zolfo usato è ottenuto da scarto da petrolio. Quindi se uso zolfo non è che sono molto vicino a territorio in realtà…
Monitoraggio di 5 aziende nostre aglianico Il cancelliere sangiovese malvasia oltrepò e con Uni Verona stiamo studiando ceppi di lieviti in cantina. Quindi miglioramento suoli e lieviti. Zero chimica in campagna, zero chimica in cantina. 14-15 novembre stiamo facendo fiera a Zurigo per comunicare a modo il vino naturale perché immagine collettiva del bio degli anni 2000 non è più quello degli anni 80, oggi è personaggio che si è rimboccato le maniche, ha coinvolto l’ambito scientifico e se oggi opera in maniera diversa lo fa a ragione veduta. Ossidazione e rifermentazione non sono bio!
Esempi di chimica, tutto! si dovrebbero essere solo elementi “crudi” presi dalla terra. Siamo quasi a zero solforosa aggiunta. Altro problema sono i funghi ma questi sono prodotti dal terreno quindi problema grosso è proprio sotto i piedi.
Altro ancora pesticidi che si trovano nei vini anche nei nostri VinNatur, 22 in totale su 180 quest’anno…di cui 12 in italia. Molti sono deriva ma molti anche sono produttori che barano e non lavorano davvero in maniera naturale…

Michele Manelli
mi rivolgo a Paolo Vagaggini…
Ad esempio uso del solfato di rame che nella finitura di un vino moderno è pratica preimbottigliamento quasi standard (per evitare potenziali riduzioni e renderlo pronto all’apertura) è ovviamente in dissintonia con naturalità del prodotto. E’ quindi un male assoluto da evitare?

Paolo Vagaggini (autore di quasi un 25% dei vini a Montalcino, attivo anche altrove):

Innanzitutto dobbiamo chiederci se l’uva vuole fare il vino oppure no…Uva è frutta e come primo scopo è quello di riprodursi…Acino d’uva ha vinaccioli, elemento più importante perché sono i semi. C’è polpa acida che lo difende da batteri e zuccheri per nutrire il seme e non per fare alcol e tannino nella buccia che non serve per fare i vini strutturati da trebicchieri ma per difenderlo da funghi come bothrytis che guarda caso come prima cosa distrugge polifenoli dell’uva, che sono alla fin dei conti dei medicinali (e guarda caso amari…).
Quindi uva voleva fare tutt’altro e noi gli vogliamo far fare il vino…dove sta la naturalità? E’ processo umano su cui abbiamo costruito un meraviglioso castello del mondo del vino. Biologico è nella testa delle persone, usando il minimo al momento in cui serve ma non è mai esente da intervento, altrimenti rischi sono troppi.
Qualsiasi sostanza è un farmaco o un veleno a seconda del dosaggio vedi arsenico…quindi negare in assoluto qualsiasi tecnica aggiunta chimica o fisica è dar campo a spontaneità ma non necessariamente naturale.

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Giacomo Mastretta Porta di Vertine Chianti Classico
Ma perché si vogliono creare queste definizioni? noi facciamo le cose come le sentiamo così come non buttiamo una carta per terra così non uso pesticida o erbicida…se sono biologico in testa non mi interessa metterlo in etichetta però capisco che dal punto di vista comunicativo sia importante. Se biologico è visto come plus valore faccio solo del male al vino e anche al consumatore…

Pietro Borato CSQA
Da consumatore però io avrei diritto di sapere se è bio o co2 free un certo vino o certo prodotto. Più che certificazione sarebbe importante essere in grado di dare parametri e dare al consumatore di sapere e capire all’interno di che schema io sto producendo. Per il consumatore è capibile solo se ci sono norme e classificazioni, incompatibili quanto si vuole con le varie definizioni di bio ma obbligatorie se vogliamo che il consumatore sia parte del gioco.

Antonio Ferro (fondatore Legambiente…)
Anche zero chimica è un messaggio molto forte in effetti, quasi anche di più che carbon free…e la comunicazione ha bisogno di semplificazioni per sua definizione. Michele sta applicando “carbon free” che ha implicitamente altre valenze ecologiche. Carbon free con suo numerino potrebbe essere una chiave di volta molto utile in termini comunicativi all’interno del quale far rientrare anche altri tipi di approccio. Biologico avrà di sicuro un impatto CO2 meno di altri più convenzionali.
Meno chimica, meno trattori, meno enologia e meno tutto e quindi più naturalità alla Vin Natur sicuramente significa ed è incluso nel concetto di carbon free soprattutto con il “numerino”.

Mazzella e Antonio Ferro:
Carbon free è di sicuro elemento lontano in teoria da concetto di prodotto come il vino ma è concetto che il consumatore legge facilmente (vedi spot delle auto) e poi starà a comunicatori lavorare per dare un senso a quel numero e far capire come lavora chi fa il vino. Grande occasione per evidenziare i singoli approcci e si può comunque evidenziare romanticismo e lato naturale dei vari modus operandi.

Michele Manelli
Guardando ai numeri, ricordiamoci però che impatto del vino in realtà deriva da produzione della bottiglia in vetro, refrigerazione in cantina e consumo dei trattori agricoli quindi non scordiamoci che sono questi gli elementi su cui ci sarebbe da investire.
“Biologico” è unico brand che consumatore finora ha capito in questo settore , conviene investire e usare e specificare meglio questo usandolo come cavallo di troia e avanguardia.

Michele Crivellaro CSQA
Il mondo agroalimentare è sempre stato fuori da tavoli di normazione e gli ha sempre subiti in maniera pesante e questo progetto è utile e fondamentale perché si allinea con gli altri e potrebbe persino fare molta più cultura rispetto ad altri settori.

Francesca Vigo Unione Italiana Vini
Occhio a dire “no chimica” perché vuol dire che gli altri “fanno vino con la chimica”…Partiamo dal fatto (in parte sbagliato) che il vino dalla maggioranza delle persone viene visto come uva e zolfo e poco altro. Sempre pericoloso usare il termine “chimica” associato a qualcosa che viene percepito, a torto o ragione, come “naturale” come il vino.  E anche usare il termine “carbon free” potrebbe essere un mezzo autogol perché finirebbe per far vedere un vino “bio” come industriale che deve dimostrare la sua “naturalità” alla platea dei consumatori.

Giulia Graglia
Se posso provare  a definire il vino naturale, è quello che mi fa diventare allegra senza farmi stare male. E’ una idea e un effetto, quasi una certificazione CSQA che richiede una prova “umana”, non è una questione di legge, non è chi non usa chimica che deve dire cosa non mette e non lasciare sul mercato prodotti pieni di prodotti di sintesi.
Questi vini non sono facili da trovare, li cerco ovviamente, frequento manifestazioni di settore e mi informo direttamente nei locali, se so che non trovo vino naturale non entro in un locale. Cosa migliore è seguire filoni e gruppi di produttori che usano credo comune e poi passaparola.

Alessandro Maurilli
Alla fine il consumatore come fa a capire? Come si fa a spiegarlo?

Laura di Cosimo, Spirito diVino
parola chiave è la conoscenza, molte cose sono già difficili e complesse tra noi figuriamoci per consumatore però servono, è vero che serve semplificazione ma la richiesta di informazioni c’è  e va sfruttata. Alimentare conoscenza e stimolare curiosità ma non è facile…ma è il nostro ruolo di comunicatori che ce lo impone.

Non è facile trarre delle conclusioni ma la prosecuzione della serata attorno ad una bella tavola rettangola innaffiata da vini bioqualchecosa ha aiutato non poco a chiarire alcuni concetti e alcune priorità. Ad esempio che se non chiariamo dapprima la questione tra noi “comunicatori” non possiamo aspettarci movimenti importanti di massa da parte dei consumatori che non sanno neanche come chiedere di questi vini più rispettosi del territorio e dell’ambiente. Altro aspetto è che probabilmente la certificazioni e i “numerini” sono una strada da percorrere e in cui crederci ma che non risolvono niente se non sono adeguatamente supportati da una comunicazione ad hoc da parte del produttore che non deve limitarsi a dire che per una bottiglia del suo vino viene prodotto solo tot di CO2 ma far capire in che modo viene realizzato. E in questo senso tutta l’impalcatura della comunicazione del vino avrà un ruolo fondamentale e importante, possibilmente “storico” nel far passare l’aspetto green di un vino come fondamentale nelle motivazioni di scelta consapevole di acquisto e consumo.

Ma il mondo della comunicazione del vino sarà in grado di farlo?