Il futuro del vino della Sicilia è qua, accorgiamocene, please: Tenuta di Fessina e terroir della Trinacria

La Sicilia è notoriamente geograficamente un triangolo i cui vertici sono acidità sapidità e cuore.  E un vino per essere davvero siciliano (vini dolci a parte of course) deve sempre averli in sè, a dispetto di qualsiasi pratica enologica.

Strano che a rammentarmelo siano stati ieri una dolcissima toscana come Silvia e un Valdostano DOC amante delle zuppe (quindi persona affidabile ;-))  come Federico Curtaz. A pranzo da Burde, ho avuto la fortuna di godermi in anteprima tutta la batteria di vini che saranno in distribuzione da settembre più un succulento bianco che invece a giro già trovate, il NaKone. Ma partiamo dai terroir…Sì, perchè quello che più mi ha emozionato dei vini che ho assaggiato è stato quello di ri-trovare il piacere di bere un vino siciliano (e soprattutto di aver voglia di berne più di un bicchiere…) e di scoprire insieme al vino un pò di geogragia e geologia isolana.

Assaggiando l’Ero 2008, un Nero d’Avola coltivato in contrada di Noto non ho potuto fare a meno di pensare all’Archimede di Marabino, un altro grandissimo vino di terroir (già scoperto da Lanza e Cernilli, arrivano sempre prima, loro!) , guarda caso prodotto a pochi km di distanza dall’Ero. L’acidità, la freschezza ai limiti dell’asprigno (per un toscano una prelibatezza sempre ricercatissima lo sapete) e il frutto così carnoso di ciliegia e bacche nere da sembrare irreale. Molto simili all’assaggio di vasca dell’Archimede fatto il novembre scorso, appunto stessa grandissima vendemmia 2008 di questo Ero.

Poi il Nakone, bianco che ero convinto fosse catarratto tanto era sapido tagliente e minerale e che invece era “solo” chardonnay: stabilite voi quale dei due vitigni debba sentirsi più onorato del confronto…(e qui siamo a Catalafimi, Segesta)

Si sale infine a 670 mt sull’Etna, il nuovo eldorado siciliano ancora incontaminato dai grandi gruppi e della scarsa fantasia dove resistono ancora vigneti di 80 anni di Nerello Mascalese e Nerello Cappucccio (o mantellato) e arriviamo nella contrada Rovvitello, Castiglione di Sicilia. Ecco, qui la mano di Curtaz la sensibilità di silvia e il terroir del vulcano danno vita all’Erse , un nerello giovane quasi solo metal, botte pochissima, una specie di Rosae Mnemosis dell’Etna. dal gusto di lampone delicato ma dalla bocca di nuovo sapida per rieliquibrare il tutto in maniera mirabile. Anche qui aciidità portante e stuzzicante. vino quasi perfetto nella sua semplicità, per tacer del prezzo (8 + iva€ franco cantina).

Però ecco, il meglio doveva arrivare e infatti il Musmeci (che prende il nome dalla famiglia che per decine di anni ha preservato lI vigne di Fassina) ha parzialmente ridefinito le mie idee in materia di vecchie vigne. O meglio mi ha convinto che almeno per 50 anni non se ne parla proprio di superare i cugini francesi in termini di fascino di vino. Fin quando cioè i nostri vini non avranno questo gusto del terroir così spiccato così intenso che chiudendo gli occhi non hai davanti l’uva, il vitigno, la ciliegia, la menta, il tabacco, la resina, la conchiglia fossile o la cipria ma solo e soltanto un luogo piuttosto magico come una delle contrade dell’Etna. E il Musmeci è proprio questo, una piccola zolla di terroir siciliano, affascinante e ricco di angoli da scoprire ma che trascende molti dei punti soliti dell’analisi di un vino. E non è neanche un vino perfetto che qualche sbavatura ce l’ha ma osservando il ghigno di Federico pare quasi sia messo lì a bella posta per sottolineare la naturalità assoluta del vino.

Deve passare ancora qualche mese in vetro poi lo metteremo accanto agli altri grandi vini dell’Etna, tra un Foti o un Benanti o un Prefilloxera, insomma, tra i grandi, subito.

Aggiornamento Settembre 2009: pare che tra i grandi ci sia già! Brava Silvia! e bravi anche ai degustatori Gambero ed Espresso che se ne sono accorti prestissimo…