Pievevecchia e le radici sotterranee del terroir ancestrale

“Pievevecchia” ti sembra un nome scelto a caso e anche un po’ banale, e visitanto la cantina ancora (per  poco) in costruzione, l’impressione è che rimanga sullo sfondo, del paesaggio, della valle  che porta a Istia di Ombrone e invece più ti addentri nel territorio di Campagnatico  (paesino talmente tirato a lucido che te lo immagineresti in Val d’Orcia o tra le Cinque  Terre) più senti che ti attira a sè. Poi scendi e sali nel percorso del vino e delle uve delle cantine, vedi il Ganimede appena collaudato (qui il video della prova),  visiti la  galleria del vino e le particolari sale di degustazioni e di incontro (wow) e avverti quasi come  una specie di magia particolare che si sprigiona da quel luogo, che avvolge la valle come  la luce del tramonto d’estate, con quel suo rosso incandescente mentre la brezza avvolge i  tralci di vite tutto intorno.

Ci metti un attimo a rivedere i paesaggi suggeriti dalle foto che hai visto sul sito o sul  blog di Marco, e ancora meno a calarti in questa atmosfera maremmana diffusa così genuina così legata alla terra, al sole, alla fatica dell’uomo. La cantina è grandissima e i saloni sono immensi, pronti ad ospitare quasi 500 mila bottiglie l’anno ma vivendola e passegiando i corridoi non ti senti mai in una cattedrale enoica nel deserto. Ogni angolo e ogni parete è trasparente e ogni presenza ingombrante o moderna è fusa nel paesaggio e
lo asseconda, incastonandosi a perfezione nei pendii della vallata.

Marco ci guida in alto nella zona di conferimento delle uve e siamo subito a ridosso dei vigneti, alicante,
sangiovese e più a fondo valle il vermentino, il fiano nascosto dietro un boschetto, lo chardonnay in un fazzoletto a lato della strada. I filari di sangiovese sono rigogliosi e spettacolari, perfettamente pettinati dal vento appena tiepido con leggeri residui di brezza marina. Sala conferenze, bar, cucina, angolo vendita al dettaglio (presto con i vini e i produttori di salumi e formaggi d’eccellenza della zona), ogni elemento è all’interno della cantina ma immerso anche nel paesaggio e l’illusione di trovarsi all’aperto in ogni stanza è totale. Non ci sono angoli o spigoli, tutto è ondulato come la tettoia verde piegata secondo la collina.

Ammiri i vigneti tutto intorno quando ad un tratto in lontananza scorgi una costruzione e a ridosso di questo un vigneto leggermente meno pettinato che attira lo sguardo come una calamita. Ecco anche senza che te lo dicano sai che la Pievevecchia è laggiù.
La cantina nuova e splendente da archistar sapiente pare quasi fatta per indicartela. A non più di trecentometri in linea d’aria, subito dietro un  oliveta centenaria ecco la pieve e la sua storia. Che parte prima che fosse una pieve, con  le pietre romane e forse anche etrusche di uno stabilimento termale, acqua calda e  vaporosa che scorre sotto la pieve, scavi che lasciano affiorare un passato antico.

C’erano dei bagni qui, pubblici perchè una vasca di 40 metri non la si costruisce per uso privato, almeno ai tempi dei Romani. La pieve riceveva l’acqua come una cisterna, le mura interne hanno ancora l’intonaco impermeabile di 2000 anni fa, il pavimento lavato e poroso affiora nel mezzo alla sala. Fa caldo qui dentro e l’umidità ti fa sentire la terra tutta intorno. Fuori dalla pieve ecco dei tubi antichissimi e delle condutture in piombo. Le segui e scopri altre vasche, il tepidarium e il ninfeo con le sue nicchie e i suoi giochi d’acqua. Poco più avanti, in mezzo ad un paio di alberi e dopo l’orto in uso alla Locanda del Glicine, ecco il calidarium. L’energia prosegue e scendendo ancora più a valle ecco un fosso lungo il quale crescono dei papiri e oltre questi il vigneto di Sangiovese, del 2002, che sorge in vista della cantina che di qui è quasi invisibile, non fosse per una parete bianca ancora da definire nella sua veste definitiva.


Nel corso del tempo lo stabilimento termale romano è divenuto appunto pieve e anche cimitero (lo prova uno scheletro di un corpicino di bambino rinvenuto qua sotto), con tutta una serie di resti medioevali ancora da scoprire. C’è una energia particolare, una sensazione di strana euforia che ti pervade passando qui davanti e le viti pare la sentano in qualche modo.

Il sangiovese  qui da’ acini più piccoli, in leggero ritardo di maturazione rispetto agli altri presso la cantina. Luca l’agronomo ci dice senza nostra sorpresa che la microvinificazione di questi filari dà risultati unici e particolari, responsabili della energia che pervade il Chorum, il Sangiovese dell’azienda. Il vino è ottenuto usando anche altre parcelle aziendali, comunque disposte vicinissime alla cantina ma il cuore pulsante di questo vino pare davvero essere la PieveVecchia, quel suo tono in parte aristocratico ma anche plebeo, rustico senza essere troppo tagliente, dolce senza diventare lezioso. Tannini presenti e levigati, impatto in bocca deciso e finale in eleganza, di frutta di bosco, di humus e leggero tono laccato, molto gambelliano.
Un vino che parla di questa valle e di questa Pieve, restituita alla sua funzione originaria, fulcro e calamita delle attività umane della zona grazie alla sensibilità dell’uomo, che ogni tanto seguendo l’istinto e il senso della terra, ricostruisce con scelte enologiche il senso di un luogo e la magia di questo piccolo angolo di Toscana.