Tutta colpa di un siciliano se il canguro affonda mentre il cavallo bianco rischia di annacquarsi con la birra. Rischi e opportunità del “brand” nel vino…

Mondo del vino in fibrillazione, anzi de-fibrillazione per l’Australia, ex nuova realtà iper osannata e adesso reietta e abbandonata da tutti (ne parla anche Slawka). E con la scusa della crisi che in teoria non doveva colpire i bran di lusso, Krug, Dom Perignon, Moet Chandon, e varie amenità stanno per essere bevute dalla multinazionale inglese Diageo, già proprietaria della Guinness e di vari altri brand.  E a Bernard Arnault resterebbe forse “solo” Cheval Blanc e altri, semprechè non decida di vendere pure quelli...per 12 milardi di euro CASH (per ora , pare, rifiutati). Solo a vedere la home Diageo con “how me make a brand” (e via con la Guinness, Baileys, J&B, SMirnoff…) mi vengono i brividi immaginando cosa scriveranno di Krug…certo secondo alcuni questi brand non fanno più prodotti d’eccellenza come un tempo e si sente spesso dire che non sono più come una volta, per tacer dei devastanti report sui vigneti quasi ormai completamente chimici da cui deriverebbero le costosissime uve di queste bollicine.

E quindi tanto vale parlare solo di brand?

Proprio di brand sembra “morire” l’Australia per cui c’è chi punta il dito (indirettamente) contro Filippo Casella il siciliano inventore dello Yellow Tail, uno dei successi più clamorosi della storia dell’enologia mondiale, nonchè tuttora il vino più venduto in USA. MArk Steinberger sostiene che la crisi Australiana (oggi Foster annuncia di mettere in vendita qualcosa come 4000 QUATTROMILA ettari di viti) derivi proprio dell’eccessivo successo del cangurino giallo che ha finito per generare troppi cloni e vini simili e  per identificare il vino australiano come cheap e commerciale. Il tutto  senza che nel frattempo (se non per effetto di una certa critica amica delle fruit bombs) si siano avuti vini (eccetto Penfolds) capaci di ritagliarsi un posto nel gotha mondiale delle etichette di prestigio.

Quindi anche un modo sbagliato di comunicare ma anche di gestire i vini e i mercati con programmazione sovrastimata e scarsa attenzione per lo sfruttamento dei terroir (o così sostiene , autore su Slate di questo articolo su “Come Yellow Tail ha ditrutto l’industria vinicola australiana“). Mai stato grandissimo fan dei vini australiani, anche se spesso sono rimasto sorpreso da alcune etichette, però è anche vero che può essere un bel case study sulla difficoltà di adattare un processo teoricamente “artigianale” come fare vino ad una industria con colossi delle dimensioni delle aziende australiane. Di sicuro i paese oggi in voga come Chile e Argentina dovranno fare attenzione a promuovere molto più i terroir, i vitigni e le regionalità piuttosto che i brand.

E se la crisi servisse anche solo a far fuori il potere del brand nel vino sarebbe già un bel risultato!

E già che ci siamo, se più produttori cominciassero a studiarsi i grafici Minimarketing dii Gianluca non sarebbe tanto male…