Vini che siano “green” ma soprattutto buoni, questa la richiesta del mercato?

Dallo speciale dello scorso anno sul vino verde e attento alla natura si può dire sia successo quasi di tutto con approcci e filosofie che da nicchia si sono fatte punti di forza sul mercato grandissime e che hanno finito con il portare nel mondo del vino una ventata di novità che non si vedeva da anni. Basti pensare anche al lancio, oggi, della grande iniziativa di Oscar Farinetti sul Vino Libero, tentativo in grande stile di usare la nascente moda dei vino verde, pulito, bio e vicino alle persone come punto di forza sul mercato dei nostri vini. Scopriamo se effettivamente c’è questa richiesta dal mercato.Questo mese su Business People cerchiamo di fare il punto della situazione.
Da una parte abbiamo assistito, grazie anche allo spazio concessogli a Verona durante Vinitaly denominato ViVit, al grande sdoganamento presso il grande pubblico dei vini cosiddetti naturali o biodinamici, vini prodotti in genere in piccole quantità da uve di vigneti di proprietà dei produttori con nessuno uso di fertilizzanti chimici o pesticidi, senza lieviti selezionati per innescare la fermentazione e con basso o anche nessuna aggiunta di solforosa, un conservante che protegge il vino e aiuta la vinificazione dai tempi degli antichi Romani ma oggi sul banco degli imputati per allergie e altre reazioni indesiderate in chi la consuma.
Un grande ritorno alla naturalità che è nato da tanti vignaioli artigiani in maniera sparsa o raggruppata in piccole associazioni ma che è diventato mainstream con aziende anche industriali desiderose di mettere mano in un mercato che già vale per i vini di qualità in enoteca e al ristorante (quindi escludendo GDO per adesso) quasi il 5% del totale.

Le aziende quindi si stanno adattando al trend e mettono in evidenza ciascuna secondo le proprie possibilità e modalità organizzative alcuni aspetti che aiutano la compatibilità ambientale di un prodotto come il vino che nasce naturale ma che può arrivare ad avere un costo ambientale e sociale molto alto, basti pensare alla produzione del vetro e dei contenitori e appunto al grande uso di prodotti chimici per la viticoltura e per l’enologia. Oggi costa molto meno ed è più in linea con il mercato produrre e coltivare in maniera biologica che usare viticoltura ad alto contenuto di chimica e additivi al vino in cantina.
Certo resta il non piccolo scoglio del terroir ovvero del fatto che se i vigneti non risiedono in una zona particolarmente vocata per la viticoltura non ci sono artifizi che tengano…

Nell’articolo parliamo dei progetti  Freewine e MAgis e di altre esperienze in un un sistema che sta cominciando a funzionare con grandi vantaggi per tutti, risultato eccezionale se si pensa che il campo del vino “naturale” è fatto di tanti parrocchie ciascuna detentrice della verità assoluta e litigiosissime su tutto. Forse è uno di quei casi che avere a che fare con un computer piuttosto che una persona presenta dei vantaggi…
Spazio anche alle aziende con Bisol e il loro Noso2 Jeio Bisol 2009, il vino dei fratelli Barberani storici produttori Orvietani, VI NO SO2.  E ovviamente le nuove cantine a impatto (quasi) zero come la  cantina Tartaruga della Famiglia Lunelli (la stessa dello spumante Trento DOC Ferrari) in Umbria a Montefalco, quella in Toscana di Antinori con Le Mortelle a Castiglion della Pescaia, la Tenuta dell’Ammiraglia di Marchesi Frescobaldi, San Felice a Castelnuovo Berardenga,  l’ormai famosa cantina “carbon free” di Salcheto a Montepulciano e quella in val di Cecina di Ginori Lisci e al Nord l’esperienza  CasaClimaWine http://www.agenziacasaclima.it/it/certificazione/sostenibilit%C3%A0/casaclima-wine/foto-casaclima-wine/406-0.html , con  la storica e famosa Jermann di Dolegna del Collio (GO)  e di recente la cantina altoatesina Pfitscher, famosa per i suoi cru Pinot Nero Fuchsleiten e la linea Stoass con Merlot e Lagrein sempre ricchi di profumi alpini e dal carattere forte. http://www.pfitscher.it/it/vini/premium.html

Grappa Green
Uscendo dal campo del vino la tendenza green non si placa anzi pensiamo ad un settore come la grappa che in apparenza sembra distante da certe tematiche mentre invece Bonollo che ha attivato un programma ambientale con la realizzazione a Mestrino di due impianti fotovoltaici per la produzione di energia elettrica che si vanno ad aggiungere all’utilizzo per produrre energia dal ciclo di gestione delle borlande (residui liquidi) provenienti dal processo di distillazione, e bruciando le biomasse delle vinacce esauste. Parte delle buccette d’uva vengono poi essiccate e macinare per essere usate come combustibile per le caldaie di distillazione.

Champagne
Una delle zone più disastrate dal punto di vista ambientale vinose è sempre stata la Champagne che a causa del grande successo del prodotto e la consuegente corsa allo sfruttamento selvaggio di ogni ettaro disponibile in passato è arrivata ad ammettere lo spargimento di rifiuti urbani tra le vigne come concime “naturale”. Oggi la reazione dei vigneron è stata veemente con decine di coltivatori delle uve che invece di vendere alla grande maison di turno (come Moet, Veuve Clicquot o anche cooperative come Nicolas Feuillatte o Jaquart) decidono di ripartire dalla loro terra vinificando e producendo champagne in proprio affinando nei propri locali cantine spesso di fortuna e non certo in grado di rivaleggiare con i km di gallerie sotterranee di Reims di Ruinart o Pommery. Tra le grandi maison proprio Pommery prova a fare qualcosa avendo adottato un protocollo atto a abbattere entro il 2020 le emissioni di anidride carbonica in atmosfera del 25% e che per promuovere queste scelte Pommery ha anche lanciato la cuvèe POP Earth usando solo uve da viticultura durevole e sostenibile, bottiglia leggera ed un’etichetta realizzata con carta riciclata, stampata con inchiostri ad acqua senzal’utilizzo di solventi. 100% riciclabile.

Anche la Birra è green?

E se pensate che la naturalità fosse una prerogativa importante e di tendenza solo per il vino dovrete presto cominciare a ricredervi perchè St Stefanus… La birra d’Abbazia, che si definisce naturale al 100% ovviamente non pastorizzata, non filtrata e ad alta fermentazione con la caratteristica di essere prodotta con tre lieviti diversi, uno dei quali è il ceppo di originale dal Jerumanus dell’Abbazia Sint Stefanus che produce birra almeno dalla fine del 1200 a Ghent in Belgio usando acqua dalle fonti della zona, malto d’orzo, riso, lieviti e luppolo.

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