Ambassadeur du Champagne: il vincitore, la finale e le macchie di Roscrach

Vabbè non è andata. Si potrebbe dire che me le cerco in effetti e che forse me le merito certe legnate però ecco stavolta ci credevo, o almeno credevo di aver trovato un modo nuovo semplice ma profondo per discutere di champagne. Non so se ho infilato qualche castroneria nel presentare i vini della finale, certamente sia Nicola Bonera che Marco Chiesa (che è risultato vincitore) avevano una conoscenza dell’argomento e dei vini maggiore della mia però ecco contavo sul fatto che funzionasse la mia idea, invece no.
L’idea partiva da Watchmen, o meglio dal famoso test di  Rorschach e le sue macchie. Dovendo discutere della diversità in Champagne mi è venuta l’idea di sfruttare le macchie (alcune) per suggerire tracce di riflessione sulla diversità intesa come percepita ma anche nascosta ed esaltata delle vari cuvèe.
Prova dalla durata totale di 35 minuti: inizio con una parte di “conoscenza” in cui chiedo  alla giuria di cimentarsi con un paio di macchie (gioco cui si sono prestati anche se non proprio con entusiasmo) per verificare che in effetti la percezione di un qualsiasi argomento o immagine può variare di molto e che usando gli stessi colori e immagini si potevano esprimere concetti molto diversi tra loro.

Sottopongo ai giurati 2 macchie originali di Roscrach poi  macchia creata ad hoc (da Stralanchi Design) in cui con relativa facilità si riconosceva una bottiglia di Champagne. Della serie, vediamo tutti le cose in maniera leggermente diversa ma uguale quando si tratta di champagne.
Dopo questi primi 5 minuti passo a descrivere le varie (4) cuvèe, ciascuna abbinata ad una macchia che ne mette in evidenza gli aspetti salienti, usando poi la stessa macchia per affrontare un aspetto della diversità in Champagne.
Quattro vini da degustare commentare e usare per esprimere la diversità in Champagne.

Prima macchia e primo vino, un Blanc de Blancs Premiere Cru e come approfondimento i tre vitigni della regione, prima fonte di variabilità e hdiversità.
La macchia suggerisce la florealità e il vino ne era molto ricco così come lo era di note tropicali e calde però supportate da un disceto corpo e sottolineate dalla tipica mineralità della Cotes de Blancs. La stessa macchia suggerisce alla base il Pinot Nero con il rosso e la sue note di fragole e frutta rossa e sta alla base anche perchè il pinot nero è il vitigno storico e più coltivato in Champagne e quando è presente dà una struttura percebile ai vini. In alto lo chardonnay con le sue note floreali agrumate e eleganti, finezza e sensazioni di eleganza impareggiabili, spesso ben percebili e solari ma anche profonde e capace di evolvere in modi inaspettati. Nel mezzo, anche geograficamente il Pinot Meunier, spesso un collante eccezionale tra gli altri due e un alleato importante nelle annate difficili per ottenere prodotti immediatamente godibili.


Seconda macchia e secondo vino, Henriot Souverain (cavolo se era buono) un bell’esempio di sans annèe ma complesso e sfaccettato, 60% pinot nero e 40% chardonnay. Naso caleidoscopico e ricchissimo di note dalla ginestra al tiglio fino all’agrume, arancio e pompelmo fino poi ad un bocca carnosa e molto fresca. Un affresco reso possibile anche da un buon e accorto uso dei vin de reserve e dall’uso dei cepage diversi. Ecco che la macchia, oltre a sottolineare la grande variabilità dei profumi del vino diventava la tavolozza da cui uno chef de cave poteva attingere per le sue cuvèe e i vini base con tutte le sfumature dovute ai micro climi, ai suoli e vari affinamenti dei vin de reserve.


Terzo vino ed eccoci al millesimato, il 2000 Brut di Laurent Perrier, emblematico di cosa significhi millesimare, con note ancora fresche giovani e accattivanti ma ricco anche di note ossidative, evolute e speziate a formare un bouque interessantissimo. Bocca potente e capace di descrivere un piccolo mondo dove il pinot nero di base (rosso nella macchia) dà a questa cuvèe il cuore di frutta rossa e il carattere vinoso ma racchiude note metalliche e sapide dello chardonnay per terminare con una punta acida vivissima. Proposta di abbinamento una cotoletta alla milanese in onore dello chef Gozzoli dello Hyatt che ne prepara una delle migliori versioni nel ristorante dell’hotel.
La stessa macchia diviene la base per discutere di come la diversità nello champagne possa essere percepita nel nostro palato (la macchia può sembrare un palato) e quindi la diversità date dall’acidità, dallo zucchero, dal corpo di un vino , dall’estratto, dalla permanenza sui lieviti.


Quarto vino, quarta macchia: è il turno del Perle Noire grand cru di Soutiran, siamo nella Montagna di Reims e abbiamo un classico blanc de noirs, diversissimo dagli altri e completamente diverso come registro, niente chardonnay e soprattutto molta più vinosità, speziatura e affumicature con un sottofondo di ciliegia e fragola pepata che emerge dal bicchiere, tutto sommato un po’ rustico. La macchia perde colore e acquista concentrazione, il colore dimininuisce e si fa più cupo con note appunto tostate a fare da cornice ad una ciliegia in sottofondo ma interessante. Bocca decisa e mascolina e finale coerentissimo con il naso. In abbinamento propongo un petto d’anatra in salsa di ciliegie cotte nel vino rosso.
La macchia mostra qui una persona allo specchio e rappresenta lo stile della maison e il proprio consumatore e deve potersi ritrovare in una cuvèe o in uno stile preciso. Una delle diversità dello Champagne è appunto lo stile della maison che deve cucirsi addosso al consumatore ma saperne leggere e copiare ogni movimento perchè non è assolutamente vero che alcune cuvèe sono sempre uguali a sè stesse, nel giro dei decenni si evolvono, così come evolve chi le beve. Nelle macchia le due figure hanno un cuore sospeso davanti a loro  ma i due cuori devono comunque restare uniti. Così come, altra figura speculare in Champagne, i metodi e i produttori RM e biologici/biodinamici che devono confrontarsi sempre e costantemente con le grandi maison NM e saper crescere insieme.
Riprendo in mano le macchie e ri-elenco i punti della esposizione ripercorrendo i 3 vitigni, i terroir e microterroir, le tipologie, gli stili per arrivare alla conclusione che tanta diversità aiuta a percepire meglio e in maniera inequivocabile l’unicità dello Champagne come vino, come regione e come terroir.

Quasi un’ora di concertazione in giuria, molta indecisione e verdetto in effetti nel tardissimo pomeriggio (mezz’ora prima che parta il mio treno per Firenze), Marco Chiesa è il nuovo Ambassadeur du Champagne, meritatissimo dopo il secondo posto dello scorso anno e da una vita in giro a vendere e insegnare Champagne, a lui tutti i nostri auguri per portare finalmente in Italia l’unico trofeo della Sommellerie che ci manca!
E per noi appuntamento, forse ma molto forse, al prossimo anno.