Giorno 3 Ambassadeur du Champagne | Grandeur e Chardonnay, chiusura en rosée con Moet, Fourny e Ruinart

Continua il nostro piccolo survivor in Champagne…sveglia discreta alle 8:30 e partenza per l’abbazia che diede origine a tutto e pellegrinaggio alla tomba di Dom Pierre Petrus Perignon poi omaggio doveroso all’impero Moet et Chandon da cui tutto passa e tutto si trasforma in stelle. Impensabile la Champagne senza Moet e impensabile non partire di qui per tanti discorsi. Pranzo da re in guanti bianchi e poi pomeriggio a mollo nello Chardonnay di Vertus e finale apoteotico da Ruinart, altro ministero dello Champagne cui è impossibile rimanere indifferenti. Inizio aulico con i cancelli dell’abbazia di Hautvillers si aprono (solo 700 visitatori l’anno!) e ti fanno passeggiare nel giardino, respirare l’aria che questo pinot nero respira ogni giorno e in un attimo sei alla fine del 1600 a vedere le stelle con Pierre Petrus Perignon. Lusso non sfrenato, compostezza e seriosità, tutto pare studiato per incutere timore reverenziale. Calda e accogliente la chiesa con la lapide che lo ricorda. Foto ricordo inevitabile.

Giro obbligatorio a Moet a Epernay che assomiglia più ad un ministero che ad una maison, caves visitate al volo, giusto il tempo di toccare con mano l’immensita di 12 milioni di bottiglie (anzi considerando pure Dom Perignon si arriva quasi a 20…).  Assaggio immancabile del Brut Imperial (sempre buonissimo e semper fidelis) e del Brut Rosè con una mega dose di Pinot Nero, niente male.  Fortuna che il pranzo è sontuoso (uno dei risotti agli asparagi più buoni della mia vita servito in guanti bianchi con un Grand Vintage 2002 e chiuso da un Vintage 1992 perfetto da sigaro) e il trattamento al Trianon   è (quasi) da Ambassadeur, volendo puoi anche strimpellare il piano che ha suonato Wagner… No rest for the wicked e già partiamo per la Cote des Blancs. Quando parlavo di  giornata impegnativa intendevo ad esempio che qui nella splendida Veuve Fourny come sempre si assaggiano molte basi, cioè avete presente 6-7  Chardonnay no malolattica del 2011 dalla Cote des Blancs? Piuttosto meglio una verticale di lambic…

Grandi chard comunque, una cuvèe incredibile come la Cuvèe “R” che ti svelano un mondo nuovo e te ne vai capendo che hai appena cominciato a scalfire la superficie di questo mondo.

E se da Fourny tutto era comunque amichevole, l’arrivo da Ruinart è paragonibile all’arrivo al palazzo Imperiale con Darth Vader all’ingresso. Chiedi timidamente il wi fi e ti dicono che devi già essere conteno se ti funziona il cellulare, ogni cosa è grandeur, essenziale ma imperiosa, soffice morbida ma irrimediabilmente fredda e distante. Tutto studiato alla perfezione perchè la soggezione è parte del piano ed è una sensazione destinata a peggiorare scendendo nei meandri di km di cave e galleria con soffitti alti 40 metri che manco a Postumia ti aspetti di trovare. E via via in mezzo a cataste di Dom Ruinart…

Si scioglie tutto, tensione e stanchezza, di fronte ad un capolavoro dell’enologia mondiale che è il Dom Ruinart Vintage 2002, dolce suadente roccioso, un monumento vivente e bevibile al Grande Chardonnay. E al cena in una sala incredibilmente bella è tutta Rosè con il Brut Rosè a iniziare e chiudere e nel mezzo tre gioielli come il Dom Ruinart Rosè 1998 (appena uscito, dolce e seducente) il 1988 (forse uno dei rosè più buoni di sempre) e il 1996 figlio della sua annata ma forse in una fase involutiva. Cibo stellare e all’altezza, peccato che ti si chiude lo stomaco ogni boccone pensando all’esame di domani, cioè oggi.