Il filo nero d’Italia, il Cabernet Sauvignon Tenuta San Leonardo, Il Pollenza e Tenuta San Guido: davvero parliamo di vitigno internazionale?

Il Cabernet e l’Italia rappresentano una lunga storia d’amore nata molto prima di quanto comunemente si pensi (leggete qui un intervento di Attilio Scienza in materia) e che in pratica solo da cinquant’anni a questa parte sta dando i primi entusiasmanti risultati al punto che il fatto di definirlo vitigno alloctono o forestiero in molti esempi è quasi difficile. Per discuterne e apprezzarne il valore abbiamo organizzato una degustazione da Burde con tre Cabernet da zone climi e vinificazioni molto diverse con Tenuta San Leonardo dal Trentino, Il Pollenza dalle Marche e il celebratissimo Sassicaia da Bolgheri.L’idea era seguirne il gradiente aromatico partendo da nord e da un clima comunque più simile a quello bordolese per poi proseguire con una giovane (o quasi) realtà che punta in alto come il Pollenza del Conte Brachetti Peretti nelle Marche (sulla costa, versante adriatico) e infine il benchmark di ogni cabernet italiano ovvero il Sassicaia che si trova sulla cost

Ricordiamo che almeno in termini di profumi si può analizzare il cabernet in questo modo:a tirrenica quindi perfetto per provare e confrontare un territorio dal clima e influssi diversi.

  • Nord Italia: mirtillo nero, camemoro, mora, confettura di ciliegia, caffè, anice, rabarbaro, pepe, balsamico
  • Centro Italia sul mare: ribes rosso e lampone, rosa canina, elicriso (macchia mediterrea), mirto, eucalipto, cisto, ferro
  • Campania: mirtillo e fragola, humus e caprifoglio, prugna, lavanda, pepe e cannella, cuoio, tabacco
  • Sicilia e isole: fragola e lampone, mirtillo e pepe rosa, rosmarino ed eucalipto, salvia, oliva, anice, tabacco, rabarbaro

Ecco qui nei video un esempio di cabernet del nord (Tenuta San Leonardo con lo straordinario 2006)

Qui dal centro (ma con clima più simile al meridione per certi aspetti) ovvero Il Pollenza

E infine dalla Toscana (Tirreno e clima mite centrale) il Sassicaia:

Il filo nero del cabernet scopre e definisce territori unici particolari e diversi tra loro e spesso finisce anche con l’aiutare l’epressione di altri vitigni se necessario, è davvero difficile trovare un paese al mondo dove operi con tanta differenza di sensazioni gustativa ma anche uniformità di risultati, spesso eccellenti. Soprattutto adesso che non viene piantato ovunque per ammorbidire o ingentilire presunti vini italiani rustici inadatti a gusti internazionali, i pochi cabernet rimasti giocano un campionato molto particolare, di nicchia ma anche molto importante per mostrare all’estero quanto il nostro territorio sia vocato e straordinario.

Quasi come se il cabernet in fondo fosse una specie di lingua franca del vino che da un lato tutti capiscono ma che consente allo stesso tempo di far capire a critici ed esperti se un territorio è in grado di produrre vini di rango internazionale oppure no. Per fortuna l’Italia è tra questi e se a questo aggiungiamo la miriade di grandissime altre produzioni di qualità ma più di nicchia si capisce che produrre grandi Cabernet in Italia paraddossalmente permette anche di vendere e far conoscere più i nostri autoctoni.