Il Sagrantino di Montefalco come dovrebbe essere: Paolo Bea e il suo 2003 (bott. 400 di 8673)

Negli ultimi anni grazie alle tante occasioni pubbliche e concorsuali  che ho avuto per degustare i Sagrantino di Montefalco nella bellissima città umbra e in vari altri posti d’Italia ero sempre rimasto colpito da questi vini ma in qualche modo ne avevo quasi sempre e solo  percepito la grandezza senza mai riuscire a dire “eccoci”.

E dovevo proprio capitare a Montefalco per comprarmi in enoteca (a circa 55 euro quindi non direi proprio economica) una bottiglia del Biondi Santi del Sagrantino, quel Paolo Bea paladino e campione della biodinamica, quell’agricoltore che “per rispetto del lavoro altrui” non manda campioni o vini a guide e giornalisti e comunicatori del vino, quello scorbutico visionario che produce ogni anno un piccolo gioiello diverso ed unico (unica come l’etichetta, da leggere in ogni sua parte).

Dicevo del Sagrantino, tannico, da abbinare su pietanze con tendenza dolce o succulente, da bere con le caggiagioni più disparate, insomma quel vitigno che spesso ti chiedi se non era il caso di lasciarlo stare dolce e alla sua storia di vino da meditazione nei giorni di festa. Ed invece ecco che in un bicchiere di questo 2003 arrivi a percepire che c’è una grandezza in questo terroir e in questo vitigno impressionante, una capacità di dare un vino con la bevibilità di un sangiovese gambelliano ma con la potenza di un amarone di quintarelli, un vino che ti emoziona ma anche che ti disseta, un vino di cui difficilmente smetti di bere, di cui difficilmente una bottiglia ti basta.

Ha poco senso descriverne sapori, profumi ed odori e anche dargli un punteggio, va bevuto e basta, magari chiedendosi però se davvero per meno di 55 euro non è possibile a Montefalco fare un vino così.