Musica e Vino Biodinamico: gli abbinamenti dissonanti e il corno di vacca

Vino e Musica anno secondo, sul palco musiche e vini “dissonanti”…Vi aspetto, con Mirco Mariotti al solito, alle ore 19.30, Arena del Gusto per – Viticoltura biodinamica: stregoneria o realtà? Il corno di vacca sotto il filare, le fasi della luna e l’enologia moderna: come conciliarle nel bicchiere“. Abbinamenti e teoria basate sulle ricerche del filosofo bolognese Cinzio Lombardi.

Ecco  vini che avremo  in degustazione e un piccolo saggio delle teorie di Cinzio:

Vini

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Riportiamo quindi un breve saggio del l filosofo bolognese Cinzio Lombardi.

“Lei (Mirco, ndr) cerca, giustamente, una struttura comune tra vino/cibo e musica dalla quale trarre elementi per abbinarli. Si tratta di un tentativo “scientifico” per dare un fondamento oggettivo ad accostamenti assai ardui perché venati di soggettività. Confesso che ho fatto un po’ fatica a seguirla per via dell’introduzione di concetti non sempre esplicitati. Tuttavia, quella che accennerò per sommi capi non è una critica distruttiva della sua teoria. La critica, se intesa come opportunità di confronto, aiuta a crescere perché attiva quei “mondi possibili” senza i quali resteremmo al palo, legati a un realismo immobile ed esiziale.

Lei tratta la musica da un punto di vista fisico: parla di frequenze perturbative e della subentrante risonanza (le cui molecole entrerebbero in risonanza con le frequenze emesse dagli strumenti musicali che risuonerebbero insieme, concordemente, armonicamente), nella quale starebbe il segreto dell’abbinamento con vino e cibo. La risonanza creerebbe l’armonia, cioè un’amplificazione di segnali che dalla risonanza stessa deriva. Lei quindi accosta frequenze visive e uditive e poi abbina due risonanze diverse (l’una dipendente da oscillazioni che ineriscono l’udito; l’altra, delle cui eventuali oscillazioni non so nulla, che riguardano il gusto), mettendole in relazione. Eppure, per quanto ne so, ogni sistema sensoriale è sensibile a una determinata forma d’energia fisica. Ad es., il sistema uditivo risponde a variazioni della pressione dell’aria (che costituiscono il suono); quello visivo a forme d’energia elettromagnetica (la luce). Fra le due cose sembra esserci una differenza ontica.

Lei dice che “un abbinamento per risonanza è assimilabile ad un abbinamento per concordanza”, e che ciò che apprezza di un brano musicale è l’armonia perché l’armonia è nella “natura intima delle cose”. E’ una dichiarazione impegnativa e un po’ assiomatica. Siamo certi che le cose stiano così? Il termine consonanza (suonare insieme) denota un insieme di suoni eseguiti contemporaneamente, tali da generare un effetto complessivo gradevole, armonico. Ma in musica esistono anche le dissonanze ed è proprio grazie a esse che la musica si è evoluta ed evolve. Le “dissonanze” (chiamiamole così), si trovano anche in natura. Non intendo qui parlare di “caso”, perturbazione, catastrofi e relative teorie; la stessa “teoria del caos” è nata quando la scienza classica non era in grado di spiegare gli aspetti irregolari e incostanti della natura – e poi è stata applicata oltre che alla fisica, alla biologia, alla matematica, alla meteorologia, alle ricerche socio-economiche e alle arti espressive…

Diciamo che col termine dissonanza, in musica, si indicano suoni o accordi inusuali che appaiono stridenti. Ma questo avviene solo perché siamo culturalmente disabituati alla percezione dissonante – non a caso siamo figli della cultura greca che dell’armonia faceva un punto fermo. Ad es., ci sono alcune statue greche che ci sono pervenute monche di qualche arto. Come hanno notato alcuni strutturalisti, avendole noi viste raffigurate sempre così, le consideriamo armoniche anche se non lo sono. Semplificando, diciamo che nella natura intima delle cose c’è anche la dissonanza. E per fortuna. La musica si è espressa storicamente a diversi livelli, e la diversità musicale ha spesso generato conflitti. Questa diversità non possiamo dimenticarla, anzi, dobbiamo valorizzarla. Quindi, siccome né il vino né la musica vivono solo di armonie, è auspicabile in entrambi i casi prendere in esame anche la disarmonia (o dissonanza). Ovviamente parlo di piccole dissonanze: alterazioni, accordi “ambigui” che in qualche modo tornano alla tonalità fondamentale, non di annullare le consonanze (come nel caso di Webern). Non ne faccio una questione di progresso bensì di feconda esplorazione di altre vie. Il che significa arricchimento di prospettive, uno degli scopi che l’essere umano dovrebbe darsi.

Questo discorso, per me, vale anche per il vino, troppo spesso commercialmente armonizzato (con gusti troppo simili e standardizzati). Io non sono un esperto di vino, ma forse posso dire che alcune “dissonanze”, rispetto ai vini armonici, le ho trovate nell’assaggio di alcuni vini biodinamici. Con questo non intendo affatto svalutare l’armonia né nella musica (io suono soprattutto musica tonale e adoro le belle armonie) né nel vino. Teniamo presente però che una volta abituato il gusto o l’udito a certe dissonanze, queste, nel tempo, figureranno consonanti, cosa che nella storia è accaduta molto di frequente in ogni campo: sociale, culturale, ecc. E’ grazie a questo, forse, che oggi si parla di abbinare pesce a vino rosso, un abbinamento un tempo considerato eretico, dissonante. Ne deriva quindi che si può abbinare anche per dissonanza.

Breve inciso filosofico: Schopenhauer sosteneva che una musica priva di dissonanze stancherebbe l’animo, apparirebbe vuota e simile al languore intrinsecamente connesso alla soddisfazione di ogni desiderio. Per Kant le dissonanze, diventano dolore momentaneo necessario al piacere successivo ecc.

Cosa deriva da queste mie annotazioni? Che adottare UN solo punto di vista per abbinare vino (cibo) e musica, significa adottare un atteggiamento “riduzionistico”, e che un approccio tutto da analizzare, deve essere plurale. Io sono un kantiano, e anche se Kant non si è occupato sistematicamente di musica, faccio mio il suo approccio riflessivo. La sua teoria si basa sulla compresenza di diversi piani di indagine: la natura fisica del suono, la percezione estetica, l’osservazione degli effetti empirici, corporei della musica, oggetto di un’antropologia. Non se ne deve dedurre che la sua concezione non sia unitaria, ma solo che presuppone sempre la necessità di distinguere i contesti (fisici, antropologici ecc.) entro cui formulare osservazioni.

Ho parlato di Kant per arrivare alla teoria della Gestalt, una dottrina gnoseologica avversa all’associazionismo dell’empirismo inglese. Essa predica l’unità dell’atto percettivo, ed è stata molto influenzata da Kant, secondo il quale i dati provenienti dai sensi si strutturano secondo forme mentali prestabilite (le categorie: noi diamo una forma a ciò che percepiamo nel mondo esterno in base a determinate leggi: vicinanza, somiglianza, continuità ecc). L’esperienza, per Kant, è un sistema. Senza unità sistematica non si danno né esperienza né scienza perché l’esperienza è possibile solo mediante la connessione delle percezioni. Una Gestalt è una configurazione di elementi in cui la funzione delle parti è determinata dall’organizzazione dell’intero (un “tutto” non riducibile alla semplice somma degli elementi che lo costituiscono). La Gestalt nasce dagli esempi musicali di Von Ehrenfels, secondo il quale una melodia possiede una struttura che va al di là della mera successione dei suoni che la compongono. Se infatti la trasponessimo in un’altra tonalità cambiando tutti i suoni, per chi ascolta resterebbe la medesima melodia perché il rapporto delle note fra loro resta immutato. Ricordare una melodia significa rammentare una Gestalt, una forma unitaria e globale, l’insieme, non i singoli suoni. Certo una persona con un buon orecchio musicale (anche non “assoluto” come si dice un gergo), può ricostruire note e accordi, così come un sommelier ricostruisce i sentori di un vino. Ma questo accade solo a posteriori, dopo aver percepito sincreticamente una melodia o annusato, guardato e gustato un vino.

Se noi percepiamo degli insiemi e gli insiemi sono composti da parti irriducibili sommativamente agli insiemi stessi, è difficile pensare che strumenti singoli che emettono suoni ad alte e basse frequenze, possano rappresentare un paradigma oggettivo applicabile a molti strumenti che suonano insieme brani articolati. Quindi, quando lei passa a parlare di genere musicale che “andrà a modulare le frequenze le quali saranno ulteriormente complicate dal numero di strumenti suonati contemporaneamente”, sembra fare un salto logico. Un brano musicale è fatto di alte e basse frequenze che si susseguono e che sono difficilmente identificabili quando diversi strumenti suonano insieme un tema. Ed è qui che entra in campo la soggettività. E’ qui che non riesco a seguirla, perché mi sembra che la soggettività delle scelte venga introdotta surrettiziamente dopo esser stata ignorata – ma forse si tratta di una mia incapacità di comprendere a fondo la sua teoria. Invece è proprio a partire dalla soggettività che io intendo parlare di questi “abbinamenti”.

Io non cerco identità strutturali, ma solo, come diceva Wittgenstein, “somiglianze di famiglia”, quelle somiglianze che ci permettono di comunicare con gli altri parlando di problemi che gli altri non hanno, ma che ciononostante vengono compresi. Ad es.,. se uno mi comunica che ha male a un dente, lo capisco perché l’ho avuto, e se non l’ho avuto, conosco il problema del dolore. Di questi fatti si occupa da un punto di vista scientifico molto serio la scienza neurologica con gli esperimenti dei “neuroni specchio”, in cui trova conferma empirica il problema dell’intersoggettività in generale e che, applicata all’arte, ci fa capire perché riusciamo, entro una data cultura, a condividere le opere d’arte. Le somiglianze di famiglia sono una “rete” che raccoglie un complicato intreccio di parentele piccole e grandi che si richiamano a vicenda, e che possono permetterci di fare determinate proposte – nel nostro caso gli abbinamenti, e di comprenderli. E’ un approccio diverso dal cercare un fondamento comune di tipo sonoro o enologico basato su risonanze, consonanze e armonie. I fondamenti mi insospettiscono: non possiamo fondare nulla a meno che non scegliamo, come fa la religione, un unico fondamento a priori al quale tutto il resto si richiama e dal quale dipende. Invece, le somiglianze di famiglia tra vino e musica, se ci sono, possono consentirci di percepire unitariamente, sinesteticamente, esperienze sensoriali diverse, che però richiamano inevitabilmente componenti soggettive.

Riassumendo: per me una teoria sull’abbinamento vino/cibo-musica, partendo dalla consapevolezza della percezione gestaltica, deve essere plurale, richiamare somiglianze di famiglia e prendere in considerazione anche le dissonanze.

Quali sono le somiglianze di famiglia tra vino e musica? Lo spirito dionisiaco (Dioniso è il dio del vino, e la musica è ritenuta l’arte più “dionisiaca” perché forma e contenuto sono la stessa cosa: la musica non ha propriamente un contenuto: il contenuto è la forma che prendono le note), la dissonanza, l’armonia, il movimento (un vino non resta mai lo stesso col passare del tempo, e una musica neppure: pensiamo alle diverse interpretazioni date alle partiture “classiche”), la cultura e altre.

Faccio alcuni esempi. Cosa abbineremmo a un Barolo o a un Barbaresco che accompagnano cibi a base di cacciagione, arrosti e bollito misto? Cosa potrebbe essere consonante a questa scelta? Intanto dipende dal contesto: se lo bevo da solo o in compagnia di amici. Scartiamo l’essere soli e concentriamoci su un pranzo con vecchi amici, perché dimensione musicale e gastronomica sono veramente tali se vengono intersoggettivamente condivise. Richiamandoci al linguaggio che attribuisce alcune caratteristiche di questi vini, ho chiesto a Christian di inviarmi alcune note generiche e lui mi ha detto: si tratta di “Vini dal colore più tenue (non ombrosi) dal tono inconfondibile, vini severi nella parte iniziale dell’affinamento anche se contraddistinti da finissime sfumature minerali; il tempo indebolisce il patrimonio di partenza per lasciare spazio all’etereità (odori e sentori) terziari in quanto non richiamano più né il vitigno né le pratiche di cantina ma si legano appunto all’invecchiamento e all’affinamento. Vini da definire COMPLESSI (ampio corredo di profumi) e LUNGHI (intensità e persistenza) sia a livello olfattivo, gusto-olfattivo e gustativo. Grande capacità di invecchiamento”.

Stabilito che in entrambi i casi (vino-cibo e musica) la percezione è globale e che l’analisi dei dettagli viene dopo, quale tipo di musica possiamo abbinare a vini con queste caratteristiche? Quali sono le somiglianze di famiglia in questo caso? Molte, se ci sforziamo un po’. E qui sta il bello: sulla base di alcune somiglianze possiamo scegliere un numero enorme di musiche da abbinare. E per me questa è una ricchezza, la ricchezza della diversità. E chiediamoci ancora: vogliamo bere, mangiare e ascoltare musica considerando quest’ultima come intrattenimento (figlio dell’ossimorica “industria culturale”), o invece come cultura? Perché la cosa cambia: se la musica deve intrattenere, allora la lasciamo in sottofondo – e così sarà obnubilata in quanto musica e in quanto cultura. Se invece consideriamo i due ambiti come ambiti culturali, possiamo discutere anche degli abbinamenti. In questo caso, potremmo proporre di accompagnarvi un blues di Ray Charles, una voce nera, severa, corporea, una voce “dal tono inconfondibile”, dalle mille incredibili sfumature (le finissime sfumature di cui sopra). Sempre a proposito dei due vini considerati, Christian dice che: “il tempo indebolisce il patrimonio di partenza per lasciare spazio all’etereità (…)” e che i vini “si legano (…) all’invecchiamento. Pensiamo al Ray degli ultimi anni, capace di sopperire alla perdita di potenza con una timbrica ancor più eterea – che per estensione significa immateriale, spirituale: una bella definizione della musica Soul di cui The Genius è stato il massimo esponente. Una voce non impreziosita da ghirigori e svolazzi che non vengono dall’anima ma solo dalla tecnica. Se si preferisce invece abbinare qualcosa di Otis Redding o di Etta James, parliamone.

Ovviamente queste analogie musica-vino sono un gioco legato a gusti personali, esattamente come quando scegliamo un Barolo e un Barbaresco piuttosto che i Super Tuscan. Ma qualche somiglianza di famiglia c’è. In questo caso di abbinamento “armonico”, consonante, ho considerato alcuni aspetti come la cultura e il movimento. Ma il tutto può (e deve) essere oggetto di discussioni che non si limitino a parlare solo delle emozioni prodotte dal vino o dalla musica. Le emozioni devono essere razionalizzate perché se abbandonate a se stesse, non permettono di fare salti di qualità.

E se abbinassimo per dissonanza, cioè per dissomiglianze di famiglia? Alla complessità di quei vini possiamo opporre, che so, Thelonius Monk, Cecyl Taylor, o Glenn Gould, o lo scat di Gege Telesforo…e vedere l’effetto che fa, come diceva Jannacci!

E se anche il vino fosse dissonante rispetto ai gusti tradizionalmente accettati? Se volessimo bere un biodinamico come il Muscadet  Sevre et Maine sur lie expression d’Orthogneissb di Domaine de L’Ecu, Vitigno Melon de Bourgogne, che si contraddistingue per la grande mineralità e sapidità nonché freschezza (iodato, dice Christian), un vino con “Lieviti naturali e poca solforosa [che] si abbinerebbe perfettamente ai crostacei” (sempre Christian) ma che noi abbiamo abbinato a carni bianche poco sapide, che musica potremmo ascoltare? Anche qui c’è un’enorme scelta: per consonanza nella dissonanza: Charlie Parker, Don Cherry, Archie Sheep, ma anche Frank Zappa…c’è qualcosa di più dionisiaco? E per dissonanza nella dissonanza, Chopin o Keith Jarrett, o Herbie Hancock o il Fossati di Not One Word, o Giovanni Allevi …

Potremmo anche fare un gioco: chiederci se si possono definire vini rock, blues, jazz, sinfonici e così via, e abbinarli per genere musicale. Come vede si tratta del gioco (il gioco è un’attività molto nobile) delle preferenze soggettive: nei casi sopra esposti avrei potuto citare i Beatles, I Chicago, I Blood Sweat and Tears, Joe Cocker, Aretha Franklin, Gorge Gershwin e via elencando. Altri avrebbero trovato consonanze o dissonanze con i Rolling Stones, i Soft Machine ecc. e tutte, se ben argomentate, sarebbero legittime somiglianze (o dissomiglianze) di famiglia (e risultare, a posteriori, ben riuscite).

Una posizione come questa invita al dialogo, al consenso e al dissenso sulle scelte fatte. Una posizione come questa si lega al dover essere perché lascia liberi di scegliere e di discutere senza vincolarsi a presunte oggettività o a necessità indiscutibili.