Bevute

Assaggi di vino distillati con punteggio, spesso con video degustazione

Un giorno in Bellavi(s)ta: Mattia, Gualtiero e il resto della banda

Mi sveglio e continuo a pensare di non meritare tutto questo però non posso fare a meno di tirare la tenda e, sia pur sotto la classica pioggerella franciacortina, e pensare che di posti come questi ce ne sono pochissimi al mondo. Svegliarsi all’Albereta immersi nel silenzio e assediati dalle vigne ogni dove è sempre magico (non che sia proprio un habituè ma era almeno la seconda volta ieri mattina e l’effetto è sempre lo stesso…). Colazione abbondante (con marmellate e conserve griffate Marchesi…) e via nel tempio della bollicina di Moretti che ci saluta personalmente in partenza per Petra in Toscana (non prima di essere salito sull’impalcatura del cantiere per dare le ultime dritte a due falegnami al lavoro su un nuovo palco per le degustazioni). Ci fa gli onori di casa Mattia Vezzola che con parole semplici e precise ci fa capire cosa significa la Franciacorta, come è nata, come è cresciuta e dove sta andando.  E lo fa costringendo l’autista del bus ad una prova speciale di rally per arrampicarsi sulle prime propaggini del Monte Orfano (tutto solo in mezzo alla Pianura Padana) e per mostrarci il piccolo tesoro (in affitto) di Bellavista, ovvero il vigneto del Convento dell’Annunciata che frate Sebastiano ha affidato a Moretti scegliendo il loro progetto di riqualificazione agricola. Mattia ci spiega e ci fa vedere il terreno, unico in questa zona perchè non di derivazione morenica (dal ritiro dei ghiacciai) ma di origine tettonica, ovvero coevo alle Alpi in quanto si è alzato in seguito alla collissione della zolla tettonica della penisola italica quando si saldò (giusto qualche annetto fa) alla zolla continentale europea. Quindi terroir e origine (parola che Mattia preferisce appunto a “terroir“) particolare e unico con chardonnay diverso e ricchissimo di sfumature, utilizzato in molti dei suoi assemblaggi. E soprattutto ci spiega come capire una persona da come impugna le forbici al momento della vendemmia: lezione utile che rammenterò quando mi capiterà l’occasione…

Altro viaggetto e siamo alla “breda” (ovvero al clos, all’ortochiuso) davanti a Villa Lechi (sede del Festival), un ettaro scarso di vigneto ancora in fase sperimentale che viene ancora vinificato separatamente e il grande vigneto dell’Uccellanda. Qui è tutto molto più rigoroso e nuovo e in effetti manca la magia del Convento ma la vista sulla Franciacorta è notevolissima. E poi è pieno di fiori e con Scorsone ci avventuriamo per felci e margherite in cerca di sentori da riutilizzare quanto prima.

Giusto il tempo per un mezzo litigio con Alessandro Regoli di WineNews , alle prese con l’ultimo articolo di Ziliani sul Brunello, che ripartiamo riappacificati sul bus in direzione cantina. Tecnologia e cuore e grande ooohhh davanti alla sala delle barrique vuote in riposo ordinatamente in 5 file sovrapposte, uno spettacolo quasi inquietante ma di sicuro effetto.

Risaliamo la china dal quasi chilometro di cantina (poca cosa considerati i 5 chilometri di Berlucchi e altri in zona) per riguadagnare la luce e qualche bollicina agognata.

E Mattia non lesina di certo con 6 bottiglie del Vittorio Moretti 2001, pluripremiata cuveè con grande presenza di Pinot Nero, con lavorazione ostinatamente manuale che viene fuori nel fatto che abbiamo 6 bottiglie diverse tra loro con sentori e gusti anche molto distanti. Il gusto dell’artigianalità, ci spiega Mattia, noi ci fidiamo e ci impegniamo ad assaggiarne un pò di ciascuna… Pranzo leggero al Library Bar con Gualtiero Marchesi che rilascia interviste (ma niente replica per Camilla e KelaBlu, uffa) e poi pomeriggio di relax totale dopo una mattinata di duro lavoro.

E qui da bravi toscani in visita decidiamo di non farci mancare nulla quindi sperimentiamo piscine con massaggi d’acqua, sauna, bagno turco, palestra e soprattutto pennichella sul pratino in mezzo alle statue moderne che popolano i dintorni della Spa.

Ad esempio qui è da dove ho aggiornato il blog ieri pomeriggio, in effetti l’ho fatto da postazioni  messe peggio…Due chiacchere in libertà con la piacevolissima Kate Singleton del New York Times, nonchè scrittrice di guide Slow,  che ora vive a Scansano, ovviamente sull’Italia e sugli Italiani, viste dall’ottica di una quasi Gallese trapiantata con gioia in Maremma. E per un pò pare pure di stare in Inghilterra, non fosse per il Romanelli e il Farchioni che irrompono nel giardino con la consueta pacatezza dopo un pò.

Il pomeriggio scorre veloce e finalmente ci siamo per il mitico appuntamento con la storia, ovvero con Gualtiero Marchesi e la sua cucina che per tanti sarà poco emozionante ma per un nuovo arrivato pivellino come me, ha un sapore tutto particolare e mi emoziono quasi quando mi scoprono davanti il Riso Oro e Zafferano che ho sempre e solo visto in fotografia. Evito di domandare se si mangia pure l’oro e mi tuffo nella storia. Non dico nulla per evitare di sbagliare ma a me pare semplicemente perfetto per cottura ed equilibrio delle parti, per non parlare del luccichio dell’oro che ti rimane negli occhi pure a piatto terminato.  Sarà pure solo “storia” ma almeno è raccontata alla perfezione. E anche gli altri piatti, come l’entreè con macedonia di frutta e verdura su croccante al nero di seppia, il sorbetto al frutto della passione e il Filetto alla Rossini rivisitato da Marchesi sono eseguiti perfettamente. E meno male che Teresa, dolcissima e brillante “account” di Bellavista, quasi sorella gemella per fascino e gentilezza della “nostra” Maria Pia La Scala, non mangia il foie gras così posso bissare l’esperienza (si lo so in società non si fa ma era davvero buonissimo).

E a proposito di società, ero a tavola con Alessandro Scorsone e per me è stata una serata interessantissima e istruttiva sentirlo discorrere di buone maniere, cerimoniali, attenzioni, coccole e ogni dettaglio che riesce a curare con il suo staff nel suo delicato compito di custode della casa del Presidente del Consiglio. Ovviamente a me prima di ieri Scorsone manco stava simpatico per ovvie gelosie e invidie professionali personali e altrettatanto ovviamente senza mai averlo conosciuto. E invece ieri vi assicuro che è stata la più bella scoperta della serata. Mi ha fatto capire e realizzare che da un sommelier non ci si aspetta solo di saper abbinare e degustare un vino ma anche e soprattutto eleganza, discrezione, classe e raffinatezza, senza pensare a tutte quelle attenzioni che il cliente di bottiglie importanti merita sempre e comunque. Servire ogni giorno capi di stato e ospiti esigentissimi come quelli che ha Alessandro non capita a tutti ma il suo modello di comportamento e di professionalità merita di essere studiato e portato ad esempio per il sommelier di qualsiasi locale. (E giusto pure ribadire che chi sceglie un bel vino merita SEMPRE di essere servito come un capo di Stato!)

Una risorsa preziosa per l’AIS e per chiunque abbia la fortuna di sentirlo parlare e veder fare il proprio lavoro, e oltretutto curioso come e me e Paolo Baracchino di scoprire sentori e profumi nei vini. Tra le perle scovate nelle bollicine e nel rosso del Quercegobbe 2005 di Petra (un da me odiatissimo Merlot), il bergamotto, l’episperma di castagno nello Spirito di San Lorenzo e la totale sintonia di riconoscere nel Brandy Bellavista  servito in chiusura alcune note di incenso, perfettamente riconducibili alla sala capitolare del Convento dell’Annunciata visitato in mattinata, una chiusura di cerchio quasi perfetta.

La serata prosegue di nuovo al bar tra chiacchere, due risate e grandi performance di Scorsone, Vinciguerra e Romanelli al karaoke con Baglioni e Battisti, ma per questi video già si parla di asta al miglior offerente.

Tanto Baracchino ha già detto che in tribunale mi difende lui…

Felsina Berardenga Maestro Raro Toscana IGT 2004

maestro raro

Ecco l’intruso della serata Felsina, un Cabernet Sauvignon nel senese che ha raccolto negli ultimi anni un numero impressionante di riconoscimenti. E assaggiandolo e annusandolo in effetti si avverte una gamma enorme di sensazioni di mirtillo, ribes nero, cassis, mora di gelso, pepe nero, spezie, un leggerissimo velo di peperone e anche qui humus e terra. Un esempio formidabile sia di come il Cabernet riesca ad esprimersi ubiquitariamente nel mondo ma che solo in certe zone davvero riesce a tirar fuori il meglio senza esprimere note di peperone troppo marcate ed erbaceo un pò invadente. Quando poi il terroir marca i vini in maniera decisa, è un piacere sentire la Berardenga venir fuori con le note minerali, di humus, di terra bagnata che anche attraverso il Cabernet che raramente, almeno in italia, interpreta in maniera così genuina il terreno dove cresce. 

Ecco qui la degustazione del vino  

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Maestro Raro IGT 2004
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Château Grillet 1998 Chateau-Grillet AOC

Monumento dell’enologia francese e mondiale, uno dei vini bianchi più longevi e
intriganti al mondo, figlio di un terroir particolare, un anfiteatro con esposizione
sud-sudovest sui pendii del Rodano settentrionale, che poggia le sue radici su di un
terroir molto diverso dalla contigua Condrieu AOC. Ed è qui che il Viogner riesce ad
esprimere a pieno proprio il suolo su cui nasce, pescando in profondità della selce e
del granito alcune delle note minerali più intriganti che mi sia mai capitato di
annusare in un vino. I classici riconoscimenti fruttati (albicocca, pesca) e floreali
(ginestra, camomilla) del Viogner sono presenti e carnosi ma quasi in secondo piano
dietro alle note di tartufo, di idrocarburo, di iodio, di zafferano, di miele che il
vino sprigiona ad ogni diversa olfazione.
In bocca se possibile il vino è quasi perfetto con una bevibilitù estrema e una
persistenza molto interessante. La frutta si percepisce in maniera più decisa con un
mango e una albicocca presenti e ben integrate con la sapidità rilevante.
Un vino deciso ed elegantissimo, eccezionale figlio del Rodano del Nord ed
emblematico di cosa significhi lasciar parlare il terroir attraverso il vino!

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Chatau Grillet 1998
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Filippo Cintolesi e il Progetto “Salvino”: cominciamo con il 2005

Avrebbe dovuto esserci anche Andrea Pagliantini, factotum di Filippo e la mano esperta dietro le pratiche enologiche del Podere Erbolo, ma la sua ben nota ritrosia ad apparire in pubblico lo ha bloccato nel suo amato Chianti. Ma Filippo non è stato da meno e ci ha raccontato la vicenda del Salvino e il progetto enologico che sta dietro a questo nome: una ricerca del gusto del terrori chantigiano più puro, un confronto continuo e serrato tra tradizione ricasoliana (fino al 2004 il Salvino aveva uve bianche in uvaggio, botti di castagne, governo alla toscana) e moderne tecniche e gusto internazionale. Ogni anno, a seconda della stagione, il Salvino cerca di interpretare annata e stagioni adeguando la sua preparazione al grado di maturazione delle uve e mettendosi sempre in gioco per rispettare il più possibile la vigna e non assecondare le idee del consulente di turno in cantina. E a proposito di cantina e pratiche varie, vale senz’altro la pena di vedere il video che Filippo ha reso disponibile riguardo la follatura del Salvino, un’esperienza tattile e anche un pò erotica (come qualcuno ha già commentato).

Come potete comunque ascoltare direttamente da Filippo, non è uno sterile attaccamento alla tradizione che fa vinificare ogni anno il Salvino ma “solo” un tentativo di far parlare la terra attraverso la bottiglia e non viceversa…

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Filippo Cintolesi e il Progetto Salvino
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Ed ecco il risultato del 2005, annata difficile ma che ha prodotto una versione del Salvino particolarmente piacevole e fruttata, anche senza governo e uve bianche. Un vino in ogni caso che sfugge a molti tentativi “classici” di approccio degustativo dei sommelier.

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Podere Erbolo Salvino IGT Toscana 2005
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Chianti Classico Monteraponi Riserva il Campitello 2004

Ormai non possiamo più considerarlo una novità assoluta visti i premi e i riconoscimenti che questa grandissima Riserva di Chianti Classico sta raccogliendo nelle guide ma è stato davvero uno dei protagonisti nella serata del Sangiovese qui da Burde.

Figlio di un’annata grandiosa e già celebratissima, nel bicchiere è di un colore rubino vivacissimo e di un corpo notevole senza sembrare pesante. Al naso rapisce subito, sospeso come è tra note floreali di giglio, iris e viola mammola e frutta in confettura delicatissima. Bandita ogni mollezza di frutta di bosco dolciastra, spazio a spezie e mineralità finissime che vanno a comporre un bouquet intrigante e ogni volta diverso che lo riannusiamo. Ma come tutti i grandi Chianti Classico, la riprova della sua solidità è in bocca dove acidità tannino e  sapidità formano una solida intelaiatura per una futura grande evoluzione mentre nel presente forniscono un contraltare efficace all’alcol e alla più che discreta morbidezza. Chiusura molto persistente ed efficace, asciutta e decisa.

Lascio la parola a Michele che ci spiega la cura che mette nella produzione di questa riserva.

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Michele Braganti e la Riserva Il Campitello
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E qui la degustazione  del vino realizzata nella serata Dibattito sul Sangiovese.

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Chianti Classico Riserva Monteraponi Il Campitello 2004
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Sangiovese e i confini del Chianti “storico”: parlano Filippo Cintolesi e Michele Braganti

Serata da tutto esaurito con interventi da Siena, da Roma e anche qualche americano di passaggio venerdì sera da Burde (qui la fotogallery). A quanto pare il Sangiovese, quello vero, vibrante, pieno, corposo ma non troppo, fresco ed elegante ancora piace ANCHE in Toscana! Grande disponibilità di Filippo Cintolesi e di Michele Braganti che hanno risposto a tutte le domande e i dubbi del pubblico curioso e interessato. Grandi vini e soprattutto vini veri di Terroir, diversi per clima, esposizone, composizione geologica ma accumunati dalla passione dei viticoltori che li hanno prodotti.

Dal Salvino di Cintolesi (Gaiole) fino a Radda (Monteraponi) e a Castellina (Bucciarelli) abbiamo apprezzato insieme quanto conta il gusto del luogo, il territorio e la storia nel bicchiere. Nei prossimi giorni (ma già tutti presenti su YouTube) presenteremo i video delle degustazioni e delle chiaccherate con Filippo e Michele ma mi premeva già mostrarvi questa digressione sui confini del Chianti Classico, tema che a Filippo, ma non solo, sta molto a cuore.

E che dimostra ancora una volta che in Toscana come in Italia, spesso gli interessi di cassetta hanno avuto la meglio facilmente di quella storia e di quella tradizione di cui ci riempiamo spesso la bocca.

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=9k3nC7xGo18[/youtube]

Cosa ci dice la classifica di Laimburg…Pinot Nero 2005 in analisi

Due righe di approfondimento sui Pinot Nero del 2005, adesso che abbiamo la classifica complessiva. Intanto qui potete vedere la mia scheda con i voti dati ai singoli vini “alla cieca”. Una rapida occhiata fa vedere come abbia dato al Fortuni esattamente la media voto raccolta dagli altri 15 degustatori, cioè 80 punti mentre su Muri Gries addirittura ho dato 86. Franz Haas invece mi era piaciuto meno e gli avevo attribuito 76 punti. Più accordo su Tiefenbrunner (80 io e 79 la giuria) ma totale discordanza su Kossler, pure secondo a 80 punti ma cui avevo dato addirittura 69! Su Stachlburg io ero su 90 (e vincitore, IMHO) mentre complessivamente ha ottenuto “solo” 76 punti.

1.      Muri-Gries Klosterkellerei – Südt. Blauburgunder Riserva “Abtei Muri” 2005      82
1.     Franz Haas – Südt. Blauburgunder 2005     82
2.     Kellerei Kössler – Südt. Blauburgunder “Herr von Zobel” 2005     80
2.     Kellerei Nals Margreid – Südt. Blauburgunder “Mazzon” 2005     80
2.     Podere Fortuna – IGT Toscana Fortuni 2005     80
2.     Kellerei St. Pauls – Südt. Blauburgunder “Luziafeld” 2005     80
3.     Kellerei Bozen – Südt. Blauburgunder Riserva 2005     79
3.     Tiefenbrunner Schlosskellerei Turmhof – Südt. Blauburgunder Riserva “Linticlarus” 2005     79
3.     Maso Poli – Trentino Sup. Pinot Nero 2005     79
3.     Tenuta Mazzolino – O.P. Pinot Nero “Noir” 2005     79

Le differenze sono in parte imputabili all’ordine di presentazione dei vini, per esempio Kossler mi è arrivato praticamente come ultimo vino prima della (mia) pausa a metà pomeriggio e quindi ero piuttosto stanco mentre Muri Gries è stato uno dei primi vini dopo la pausa pranzo ed ero sicuramente più fresco e ben disposto verso il vino. Questo dimostra e sottolinea la grande importanza dell’ordine di presentazione dei vini in un concorso e il fatto che è sempre molto difficile per un singolo degustatore parlare di qualità “oggettiva” di un vino e che il panel, specie se ben strutturato e pensato permette di avere una certa maggior qualità di valutazione. Il più grande svantaggio di questa tecnica è che se non si selezionano bene i componenti del panel si hanno punteggi troppo vicini e diventa difficile discriminare molto tra i vini. E in effetti tra il vino numero 1 e il numero 50 in classifica ci sono appena 10 punti di valutazione di scarto con moltissimi ex aequo.
Ciò non toglie però che la classifica non sia valida e che non rispecchi l’oggettiva qualità dei vini che in effetti, e penso possano confermarlo anche gli altri componenti della giuria, erano spesso molto vicini come valutazione pur evidenziando alcune caratteristiche regionali ben identificabili.
L’annata 2005 non è stata una grandissima annata in Alto Adige e questo ha permesso alla Toscana di affacciarsi un pò in alto e anche all’Oltrepò Pavese di cominciare a farsi sentire a questi livelli.
L’impressione che ebbi uscendo da Laimburg è che i Pinot Neri altoatesini 2005 hanno tutti una forte componente di frutto scuro “freddo” e di minerale terragno che li marca a fondo, solo raramente il floreale e qualche nota più fresca fa capolino dai bicchieri. Lo stesso Fortuni per me a Laimburg era un AA “di sicuro”, così scrivevo in nota sul foglio degli appunti…
I Pinot Neri dell’oltrepò invece hanno un carattere molto più rotondo e molto più dipendente dal legno, con note più calde e un pò più piacione, che però non ho disprezzato affatto, anzi! Molto più piacevoli, leggeri e delicati ho trovato i Pinot Nero della Val D’Aosta, nettamente in crescita rispetto ad altri anni.
La classifica complessiva secondo me è molto figlia della particolare annata 2005 con un’estate calda solo a tratti e un settembre ottobre molto fresco che ha fatto faticare non poco i produttori per ottenere tannini maturi e uva dalla giusta acidità. Stiamo entrando in una fase molto interessante per il Pinot Nero in Italia e almeno in Alto Adige si va definendo uno stile ben preciso che saprà sicuramente ritagliarsi una nicchia sempre più ampia tra gli appassionati di vino. Nel resto d’Italia sono un pò scettico per i Pinot Neri dell’Oltrepò e Piemontesi mentre seguirò con interesse i progressi in Val D’Aosta. Sul resto d’Italia credo si possa parlare di casi isolati e che per ora fanno un pò storia a sè, Toscana compresa. Il tutto come sempre quando si parla di questo vitigno, sempre sottoposto alla grande variabilità del clima e delle precipitazioni che da sempre rendono il Pinot Nero affascinante e maledetto.
Non è un caso se Armin Kobler, forse uno dei maggiori conoscitori italiani del vitigno, con la sua azienda non produce Pinot Nero, no? 😉

Non è solo “Fortuna” se il secondo miglior Pinot Nero d’Italia è Toscano!

Faccio i complimenti ad Alessandro Brogi ( e anche Simone!) del Podere Fortuna e al suo ormai celebre Pinot Nero Mugellano Fortuni che ieri è stato premiato come Secondo Miglior Pinot Nero d’Italia dalla giuria (severissima, c’ero pure io!) del Concorso Internazionale organizzato da Armin Kobler per le Giornate Altoatesine del Pinot Nero a Egna (BZ). Davanti al “nostro” Fortuni, solo il grandissimo Franz Haas con il suo Blauburgunder AA 2005 e ex aequo il Muri Gries, altro grandissimo da anni. Davvero un grande riconoscimento al grande e appassionato lavoro che Alessandro ha portato avanti in questi 10 anni di lavoro a inseguire un piccolo sogno da architetto. Nato da un’idea di un grande cuoco e gastronomo della scena fiorentina ma realizzatosi solo grazie alla caparbietà e alla serietà con cui Alessandro e il suo team ha affrontato la sfida: senza scorciatoie enologiche e senza clamori mediatici stanno arrivando un sacco di riconoscimenti che credo rinsalderanno il Brogi nei suoi fermi propositi di puntare sempre e solo alla qualità e alla valorizzazione di un territorio per troppo tempo ai margini della Toscana vinicola più importante.

Non che adesso (spero) si debbano mettere tutti a piantere Pinot Nero nel Mugello, però ecco di sicuro è una riprova del fatto che la nostra è davvero una terra benedetta da Dio e ci sorprende ogni anno di più. E per fortuna esistono ancora storie di passione e di serietà che hanno un lieto fine, anche se penso che questo debba essere considerato in realtà un inizio di un cammino ancora più impegnativo per rendere il Fortuni (e il suo fratello Coldaia ancora più buono IMHO) sempre più affascinante e piacevole da bere come i grandi Pinot Nero del mondo. Come sempre, sono disponibile a dare una mano se si organizza un altra cenaClassifica completa e altre foto ufficiali prestissimo (dai Armin sbrigati!) sul sito del Concorso.

Château Rayas Châteauneuf du Pape AOC Réservé 1998

Uno degli esempi viventi della grandezza del concetto di terroir. 50 ettari di tenuta
con solo 14 di vigneto e il restante di bosco che protegge le uve dagli eccessi
climatici del Rodano meridionale, un terreno di sabbia rarissimo per lo Chateneuf du
Pape e la scelta di produrre un vino 100% grenache: ce ne è abbastanza per renderlo
più che unico. A tutto ciò ovviamente dobbiamo aggiungere che la costanza qualitativa
è impressionante e che è uno di quei vini sempre preda di collezionisti e di
estimatori per la sua grande capacità di invecchiamento. Questo 98 è figlio di una
annata grandissima per il Rodano e già dal colore si nota l’impressionante vivacità e
vivezza del vino, straordinario considerando l’età. E anche le prime note che si
levano dal bicchiere fanno presagire qualcosa di molto particolare. Profumi di rosa,
di rabarbaro, caramella inglese, foglia di The, frutta di bosco sotto spirito,
liquirizio, tostature delicate, sandalo, ebanisteria, china, un tuttuno di frutta e
terziario sfaccettato e affascinante come pochi altri. In bocca è caldo ma non
invadente, fine ma corposo, persistente quasi all’infinito con continui rimandi al
naso di china e spezie e frutta di bosco precisa e nitida. Sapido e ancora fresco,
tannini evoluti ma ancora pimpanti, uno di quei vini che stai ore a pensare su cosa
potresti berlo e senza accorgertene ne hai già finito la prima bottiglia. Noi
possiamo suggerirvi un dorso di lepre in salsa di madeira (come quello del recente
concorso Toscano sommelier) oppure della cacciagione da piuma ma vi capiremmo
benissimo anche se decideste di berlo da solo…

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Pinot Nero al Nobilis, alle Sorgenti dell’eleganza

Si è radunata ieri sera, in segreto in puro stile Guerilla Cuisine, gran parte dell’Intellighenzia fiorentina del bere e mangiare bene al Nobilis (gruppo Golden View OpenBar), un concept particolare di ristorante con solo 12 coperti, aperto e adatto a sperimentazioni e incontri informali come quello di ieri. Unica condizione per partecipare portare due bottiglie di Pinot Nero QUALSIASI dal mondo “bendate” e ovviamente un pò di voglia di socializzare e mettersi in gioco. Ah se poi eravate blogger tanto meglio, ieri sera addirittura eravamo 5 su 15 a tavola, pronti a confabulare sull’organizzazione dell’evento blogger a Firenze il prossimo ottobre.

Tra scoop di mercato della Fiorentina regalataci dalla penna sportiva di Repubblica Giuseppe Calabrese (compreso boato all’annuncio della vittoria dello Zenit contro i Rangers, vendetta servita!), annunci di aperture di nuove gelaterie (22 Maggio piazza Oberdan, Leonardo Romanelli dice che vi merita farvi trovare…), discussioni sui blogger e il loro autoghettizzarsi in circoli esclusivi (toucheè), pettegolezzi salaci wine e food, strali contro il Brunello traditore (e attesa sull’esito della riunione, con Aldo Fiordelli in collegamento in diretta), amarcord di cuochi e cucine fiorentine e toscani perduti, aperture al panino d’autore, la serata organizzata da Filippo e Christian della Fattoria le Sorgenti (non nuovi a iniziative di questo genere, ma stavolta non hanno messo il loro Scirus di mezzo come al solito :-)) è scorsa benissimo. Merito della cucina di Francesco Casu e pure dei vini portati obiettivamente quasi tutti di livello notevole.

Nell’album su Flickr, trovate etichette e punteggi che ho attribuito a ciascun vino. Riporto qui solo due righe su quelli che mi sono piaciuti di più e che mi hanno catturato particolarmente, premettendo che come degustatore sono fermo ancora alla fase orale e ho come riferimento ideale St Emilion e non ancora la Borgogna Rossa come tutti i degustatori e sommeliercpiù chic. Tralasciando il vino che avevo portato io (che mi ha convinto parecchio, Ata Rangi Pinot Noir Martinbourough New Zealand 2002 molto terroso, speziato e accattivante) direi che mi ha stupito uno dei vini che ha messo d’accordo tutti ovvero il Franz Haas Alto Adige Pinot Nero 2003 (NON Schweizer!) straordinariamente succoso e denso, fruttato, roccioso e minerale, con sentori particolari di nocciola ed equilibratissimo (88 punti sul mio personalissimo cartellino).

Sconosciuta (a me ) AOC questa Auxey Duresses, ma grandissimo vino quello di Christophe Buisson 2005 piccante, speziato, pepato, scuro ma vivace ribes carnoso, addirittura 91 punti! Notevole prova anche per il Mercurey d’apertura, ovvero il Mercurey 2004 1er Cru Clos des Montaigus Domaine Michel Isaie ampio, un pò etereo, caramello, cedro, mirtilli freschi, floreale interessante. Stupore generale per il Beaune AOC 1er Cru 1996 Clos De l’Ecu Domaines Jaboulet Vercherre che assolutamente non dimostrava 12 anni di vita con una acidità ancora vivacissima, rabarbaro, liquirizia, peperone, frutta rossa di bosco appena un pò sotto spirito. Divisione e discussione su uno dei pezzi da 90 (punti) ovvero lo Chambertin di Dominique Laurent 2003, che a qualcuno (me compreso) è sembrato un pò scarno ma che per molti era il migliore della serata. Menzione d’onore per l’austriaco Juris Stieglmayr Blauburgunder 2005 Gros Burgenland (che avrei giurato fosse un altoatesino, molto minerale e candito) e per il “nostro” Vigna Baragazza 2004 di Marchesi Pancrazi, veramente pieno, caldo, con orchidea, viola, cipria, caramella charmes con ancora unpò di legno da assorbire. Curioso l’inserimento di Fortuni 2005 in due diversi momenti…mi sono salvato dandogli 79 alla prima bottiglia e 81 alla seconda (e a Laimburg gli avevo dato 80, wow!) mentre altri sarebbero stati puniti da Armin Kobler…

Tra i sentori più interessanti, si è sentito un “lumache appassite”, un “schnauzer bagnato” e un “lychees caramellato” di cui però ho giurato di non rivelare la paternità. Grandissime sorprese all’apertura delle bottiglie con annate quasi tutte sballate e attribuzioni geografiche solo sporadicamente precise. Tra i più riconosciuti gli italiani e i grandi cru borgognoni. Difficile dare un sunto preciso delle sensazioni di questi vini tanta era la disparità di provenienza e di stile ma di sicuro un plauso generale alla gestione del legno e della barrique (tra i commensali c’era pure un commerciante di botti), sempre percepita ma mai sovrastante o eccessiva e al rispetto del vitigno che salvo un paio di casi, è stato davvero encomiabile.

In cucina, complimenti a Francesco per la composizione di quaglia e asparagi, davvero sublime con asparagi croccanti e quagli in diversa consistenza perfettamente disposta e insaporita.

Grazie agli organizzatori e a tutti i convenuti, serata piacevolissima e soprattutto istruttiva che mi ha fatto capire che di Pinot Nero ne devo bere ancora parecchi per arrivare a conoscerlo bene, posto che si arrivi mai a farlo!

Vi assicuro che ieri sera è stato sempre presente con la sua “tipica” eleganza ma mai così ingombrante sulla scena, un vitigno che entra sempre in punta di piedi ma che difficilmente ti lascia indifferente… Difficile non riconoscerlo tra tanti ma veramente ermetico da decifrare dati i risultati molto vari che sa dare e alla personalissima interpretazione delle annate. Più terroir nei francesi, più enologia negli italiani e altri stranieri, ma dovunque un tocco come un’ algida carezza che ti prende e ti conquista di più ad ogni bicchiere.

Ok, a quando la prossima?